E’ stata quasi un’ombra nella WWE. E’ stata una di quelle che passano e poi se qualcuno non te la ricorda, tu non pensi mai a lei, a quello che aveva fatto, a quello che era stata. Perché effettivamente non aveva fatto molto. Aveva tentato di entrare nella WWE attraverso un concorso considerato da quasi tutti una cavolata, un modo spicciolo per portare sugli schermi quello che oggi possiamo considerare il contrario della Women’s Revolution. Non aveva lasciato il segno, non aveva fatto parlare di se, se non per fatti futili, estranei alla disciplina.

 

Ashley Massaro, forse, non aveva nemmeno un sogno sul Ring. Aveva trovato il modo di entrare nel mondo dello spettacolo, arrampicandosi su uno specchio chiamato WWE. Non aveva mai imparato davvero a lottare, non aveva mai nemmeno imparato davvero cosa significava soffrire oltre ogni limite, perché semplicemente, lei, un limite aveva deciso di metterselo.

Aveva una figlia, Ashley, e lei era la sua priorità, dal 23 Luglio del 2000, quando la mise alla luce all’età di 21 anni. Aveva quella priorità anche quando, nel 2008, chiese alla WWE di essere rilasciata perché sua figlia, otto anni dopo la sua nascita, si era ammalata. Ashley non era cresciuta adorando Ric Flair, Shawn Michaels o The Rock, anche se qualche volta probabilmente ha dovuto dirlo. Infondo voleva solo sfondare, in un modo o nell’altro, nel mondo dello spettacolo, e ci riuscì attraverso la World Wrestling Entertainment, che la proiettò verso Playboy, verso un successo tanto agognato quanto sfuggente.

Non è da Hall of Fame, non è stata campionessa, non è stata infondo niente, o poco più di niente, per un fan di Wrestling. Eppure quando leggi la notizia della sua morte, alle due di notte, su un sito di Wrestling che riporta freddamente l’accaduto con un semplice titolo, ti chiedi perché? Perché non fa differenza, perché sento per lei lo stesso che ho sentito per chi la gloria l’aveva davvero assaporata e il suo corpo e la sua anima le aveva davvero vendute al signore del Wrestling? Perché in fondo, se ci pensate, quello che se ne va è sempre e comunque un pezzo di realtà. Della nostra realtà.

Volenti o nolenti alla mente ci tornano quei momenti nei quali Ashley Massaro l’abbiamo vista, assaporata, giudicata, accettata e rigettata, apprezzata, disprezzata o qualunque sia stata la nostra reazione, per la prima volta. La ricordiamo, in lontananza e dietro un velo che appanna il pensiero, mentre in fila attendeva di essere nominata nel suo concorso, promossa al turno successivo. La ricordiamo mentre lo vince quel concorso, mentre parla di sua figlia, mentre sale per la prima volta sul Ring a combattere un Match vero. Ricordiamo il suo essere maldestra, poco tecnica, poco potente, poco coordinata, poco tutto. Però la ricordiamo.

La ricordiamo perché è stata una protagonista del nostro tempo, del nostro Wrestling. Non sarà il più vivo dei ricordi, ma c’è. Quindi siamo tristi. La nostra malinconia si ravviva perché una ragazza di 39 è morta ed era una ragazza che, per sogno o per denaro, aveva comunque fatto qualcosa per noi, e forse, in quel periodo sottovalutato dai suoi calcoli un po’ raffazzonati per arrivare al successo, ha cominciato ad autodistruggere una vita che avrebbe potuto sorriderle.

Ashley ha avuto dei problemi di abusi, droghe, alcol. Ha avuto storie da Backstage che le hanno strappato certe certezze. Ha avuto sempre un problema nuovo, nel momento in cui il precedente era risolto. Come sempre, almeno per metà, è vittima degli eventi, eventi che arrivano per rincorrere la luce, eventi che. alla fine dei conti, siamo anche noi.

Quindi mi tolgo il cappello in segno di rispetto anche stavolta, per ricordare una giovane “non promessa” che ha dato qualcosa, nel suo piccolo, a un’industria troppo ingiusta nei confronti dei suoi adepti, e a volte troppo menefreghista nei confronti dei suoi defunti.

Auguro ad Alexis tutto il bene del mondo, auguro ad Ashley di risposare in pace. Auguro a me stesso di poterla smettere di scrivere articoli ogni settimana che parlano di qualcuno che è andato via, perché sono stanco di cambiare forma ripetendo sempre le stesse cose, sono stanco di piangere dentro, sono stanco del lato oscuro di questo Wrestling che succhia vite senza essere mai sazio, di questo Wrestling che ha arsura di sangue fresco. Sono stanco, martoriato, da tutti quei destini. Per favore basta!

 

Direttore di Zona Wrestling. Appassionato di vecchia data, una vita a rincorrere il Pro Wrestling, dal lontano 1990. Studioso della disciplina e della sua storia. Scrive su Zona Wrestling dal 2009, con articoli di ogni genere, storia, Preview, Review, Radio Show, attualità e all'occasione Report e News, dei quali ha fatto incetta nei primi anni su queste pagine. Segue da molti anni Major ed Indy americane e non.