Big Show, secondo quanto rivelato da una nostra news qualche giorno fa, si ritirerà il prossimo anno. Il gigante ammainerà la sua bandiera dopo poco più di vent’anni di carriera, svariati titoli e feud, e una caterva di turn – tale da far girare la testa a qualunque appassionato di wrestling.
Il suo ritiro, previsto per febbraio 2018, farà seguito ad una serie di abbandoni più o meno illustri, che partono da Mark Henry e finiscono a Kane. Quest’ultimo non si è ancora ritirato ufficialmente ma il suo utilizzo sempre più rado ci fa pensare che ormai sia giunta l’ora. Idem per Undertaker: non ci sorprenderà se quella del 2017 dovesse essere l’ultima Wrestlemania in cui lo vedremo lottare, le sue gambe e la sua schiena chiedono un riposo duraturo dopo tanta fatica e tanto spettacolo. Se lo merita, così come se lo meritano i colleghi che sono stati un esempio di aziendalismo considerevole per lunghe stagioni, accettando anche programmi di lavoro al di sotto della propria credibilità. Si pensi ad esempio a Big Show che perde con Floyd Mayweather o a Mark Henry che perde con qualunque midcarder o a Kane che si fa battere (più volte) come un pollo da Rey Misterio. Il senso? Non ci sono più i giganti di una volta, non fanno paura e si è sdoganato l’assioma di Davide contro Golia, dove il talento del piccolo sa ovviare alla differenza d’altezza. Oggi Braun Strowman, Luke Harper ed Eric Rowan risultano delle mosche bianche, utilizzate per lo più per esaltare altri più che se stessi, e un semi “gigante” come Roman Reigns viene fischiato in quasi tutte le arene nonostante l’impegno profuso in ogni incontro. A cambiare la direzione della WWE è stata soprattutto l’infornata delle indy dove i “piccoli” hanno dimostrato di saper essere “grandi” e di dare uno spettacolo eccezionale. I vari Kevin Owens, Finn Balor, Dean Ambrose, Seth Rollins, AJ Styles e Sami Zayn hanno iniziato la propria carriera da “cruiser” fino a salire di livello grazie ad un pompaggio consistente dei propri muscoli.
Un tempo i parametri erano altri. Nella mia memoria (e forse direttamente nella vostra) si inserisce una stable “enorme” che nel 2003 vide alleati Brock Lesnar, Big Show, Nathan Jones e Matt Morgan, attori indistruttibili per chiunque provasse a metter i bastoni tra le ruote. Ricordo il fastidio provato nel vedere i poveri Benoit, Edge e Cena strapazzati come bambole di pezza grazie all’intervento di Paul Heyman capace di avallare ogni azione violenta. Senza contare il prezioso quinto uomo nella forma di A-Train, assolutamente disturbante e tremendo. Smackdown venne messa a ferro e fuoco prima che Morgan e Jones sparissero dalla circolazione per manifesta incapacità, e Lesnar si ritrovasse tra i piedi Goldberg. Altrettanto grossi si sono rivelati Mark Jindrak e Luther Reigns ma il loro stint non fu per niente felice: il primo venne licenziato e trovò sponda e notorietà in Messico col nome di Corleone (asciugando il proprio fisico per adattarsi agli atleti della CMLL e per ottenere azioni aeree fuori dal suo standard), il secondo non ha lasciato altra traccia se non per esser ricordato come una pippa terribile.
Ma ricordo anche tanti altri giganti, più o meno tali. La WWE ci fornisce QUI una lista riepilogativa di tutto rispetto, dove alcuni atleti forse non sono nemmeno conosciuti. Io ricordo bene Kamala e il suo feud con Undertaker, la sua paura e il suo muoversi goffo sul ring, quel suo sguardo scemo che lo rendevano tutto meno che pauroso. La cosa buona è stata avergli affiancato personaggi del calibro di Harvey Whippleman e Slick che gli han permesso di esser più che una semplice comparsa; mi stupì invece Giant Gonzales: prese Taker per la testa, gliela strinse e lo mise al tappeto. Anche The Great Khalì riuscì a fare la stessa cosa, ma i tempi erano cambiati ed io ero già grandicello per farmi impressionare dall’indiano; Big Daddy V o Viscera non mi è mai piaciuto, nemmeno quando si propose nei Men on a Mission (storico tag team di metà anni 90). Big John Studd, King Kong Bundy e One Man Gang sono stati le pedine adatte per traghettare la WWF dai primi anni ottanta agli anni novanta, ovvero nel lungo tragitto di Hulk Hogan verso l’immortalità e nel loro percorso verso piccole ma significative vittorie. Dimenticati a torto dai tifosi, sarebbe cosa buona e giusta recuperare le loro gesta da vecchia scuola.
Sid Vicious e Kevin Nash sono più vicini a noi. Il primo ha vissuto una serie inaspettata di vittorie e di considerazione di gran lunga sopravvalutate rispetto alla qualità espressa. Scarso come pochi ma essere “quello alto al posto giusto al momento giusto” è valso qualcosa. Con Vicious (o Sycho Sid, o Sid Justice) avevi la netta sensazione che fosse tutto finto, tutto preparato, dalla sua incapacità totale di gestire il timing dei suoi interventi e dei suoi match, senza contare diversi botch al microfono (come la richiesta di tagliare un promo per una serie di errori durante una edizione di WCW Nitro… peccato che tutto fosse ripreso in diretta..). Nash è stato anche lui al posto giusto nel momento giusto, ha cambiato la storia come pochi hanno saputo fare e si è guadagnato una posizione di lusso negli anni a venire. Big Sexy non è solo NWO, ma è anche Wolfpac, Insiders, quattro volte campione del mondo, colui che ha spezzato la streak di Goldberg e che ha spazzato via in pochi secondi il povero Bob Backlund. Al microfono poi attirava facilmente le persone, aveva mimica e ironia tali da vendere nel migliore dei modi il prodotto – nel backstage invece aveva acceso una guerra totale con Hogan che porterà ben presto al disfacimento della WCW.
La lista prosegue: Earthquake, Typhoon, Vader, Bam Bam Bigelow, Big Boss Man, Test… fino al leggendario Andre The Giant, scoperto all’età di 3 anni mentre cercava di strozzare i suoi avversari con una (finta) inusitata ferocia. Oggi questa schiera di performer non esiste più e se esiste non ha più le sembianze di una volta. Il mondo è cambiato, i tifosi sono cambiati: un match tra Shaquille O’Neal e Big Show non interesserebbe più nemmeno ai nostalgici. I piccoli hanno preso la scena e non la lasceranno andare via per i prossimi vent’anni.