Gianluigi Donnarumma non rinnova col Milan. Ha solo 18 anni, una annata discreta in serie A condita dalla vittoria della Supercoppa Italiana e qualche paperella dispensata di qua e di là. È alto, ha forza e reattività, non ha tecnica coi piedi ma è intelligente nelle uscite e alla sua età non è una cosa usuale. Fa parte della nuova epopea del calcio moderno in Italia assieme ad Alex Meret, Simone Scuffet, Alessio Cragno, Mattia Perin, Andrea Zaccagno, Marco Sportiello e Alessandro Plizzari. La scelta non manca, sembra di esser tornati indietro agli anni 90′ quando i portieri erano il fiore all’occhiello della scuola azzurra.
A differenza dei succitati, Donnarumma aveva (ed ha) il simbolo del predestinato. Cresciuto nel Milan, si pensava ne potesse diventare un simbolo conclamato, segno di una nuova era di trionfi. I cinesi però non convincono, non danno sicurezze e non sono il nuovo che avanza. Il Milan è fuori dall’Europa che conta, con tanto lavoro da fare e da ricostruire. Raiola ha deciso che Gigio dovesse prendere ora e subito il meglio del calcio internazionale. Ha deciso che a 21 anni possa aver già vinto una Champions col Real Madrid, a 25 anni sia già altrove (magari in Premier) e a 30 abbia già vinto abbastanza da stufarsene. Tutto e subito, in piena regola coi ragazzi dei giorni nostri che non attendono un istante per giovarsi dei propri obiettivi.
Nel wrestling la situazione attuale pare un poco simile. Tutto e subito, tutto e adesso: il caso degli indy che passano in WWE dopo qualche anno di apprendistato è ormai cosa risaputa. Tyler Bate ad esempio ha solo vent’anni ed ha già vinto un titolo pesante, detenendolo per ben 125 giorni. Bravissimo, già inserito nel giro che conta grazie al maestro Trent Seven, ha nel suo palmares anche un titolo in Chikara ed un match strepitoso con Pete Dunne. Lo stesso Dunne è sbocciato all’improvviso, nonostante si fosse già consci delle sue enormi potenzialità. Generalmente un midcarder che balzellava nell’uppercarding britannico, ha colto nel 2016 il massimo gli si potesse dare per poi presentarsi alla WWE con un conto salato ma ben remunerato da prestazioni solide.
Nella storia però i no eccellenti ci sono stati e sono stati di grande rilevanza. Ad esempio Sting, che tutti ricordiamo per i suoi dinieghi, era stato contattato dalla WWF nel 1986 quando la stessa prese con sé Jim Hellwig, meglio conosciuto poi come The Ultimate Warrior. Non era giovanissimo ma aveva in sé le idee ben chiare, tanto da divenire due anni dopo uno degli uomini di punta della NWA al fianco di Ric Flair. Il resto chiaramente è storia, come i suoi feud, i suoi regni, il facepaint, l’addio e il criptico ritorno, le sorprese sempre positive e la chiusura in TNA prima di cedere definitivamente alla WWE al prezzo di una Hall Of Fame e qualche match. Un altro esempio è stato quello di Daniel Bryan, che nel 2005, in piena tempesta ormonale della ROH, decise di rimanere in casa seppur allietato dalle grazie monetarie della WWE e da quelle affettive di Shawn Micheals. Giovanissimo, era attratto più che altro dal Giappone, dal suo fascino e dai match fisici: con Kenta e Morishima i match di maggior peso, dalla bellezza straordinaria e spiazzante. Rimarrà a Philadelphia per altri quattro anni prima di decidere come fosse giunto il momento di strappare il contratto migliore. Per la cronaca, la WWE lo contattò per contrastare l’arrivo in TNA di Samoa Joe. Quattro anni dopo la TNA si prese Nigel McGuinness per contrastare la firma di Bryan con la WWE.
Le bandiere sono state poche e si possono davvero contare sulle dita delle mani. Questo perché il wrestling non è il calcio e spesso portare a casa la pagnotta vale più della gloria. Kevin Owens aveva dichiarato da subito di aver scelto la WWE per poter permettere alla propria famiglia un futuro più agevole. Al contrario Zack Sabre Jr e gli Young Bucks hanno deciso che la WWE non contasse abbastanza nella loro vita per decidere di cambiar casacca: fatti due conti, guardate le prospettive, hanno ritenuto migliore far quel che vogliono in Giappone e in giro per il mondo guadagnando esattamente quanto guadagnerebbero in WWE. Una sorpresa, rara, ma pur sempre sorpresa in un mare di esili abboccamenti. Eppure i John Cena, i The Rock, gli Undertaker, i Shawn Micheals hanno dimostrato col tempo di tenere alla maglia più che altro. Se per Cena è stato (ed è) facile vista la mancanza di alternativa, per gli altri la WCW rappresentava un po’ il Real Madrid di oggi, tra tanti soldi e prospettive rosee. Kevin Nash e Scott Hall scelsero proprio questo salto alla Donnarumma per garantirsi strade più semplici verso il main event (nonostante entrambi fossero già dei main eventer in WWF). Jeff Jarrett fece addirittura un doppio salto, i Radicalz (Perry Saturn, Chris Benoit, Dean Malenko, Eddie Guerrero) decisero di fare il percorso inverso rispetto a tutti aprendo di fatto la crisi della WCW.
Oggi il business vale più di tutto. Donnarumma si prenderà probabilmente la scena mondiale del calcio e vivrà sulla propria pelle l’esito di questa scelta, dalla quale sarà improbabile tornare indietro. Diverso è il mondo del wrestling dove il ritorno a casa sa veramente di casa, nel calore dei propri tifosi che hanno aspettato il proprio figlio sulla soglia di casa per tante stagioni. Tutti tornano, in un modo o nell’altro, poiché pochi ce la fanno davvero.