Saranno le decine di ore di wrestling accumulate, sarà il cercare di trovare qualcosa di veramente soddisfacente per auto giustificarmi per avere visto la suddetta montagna di ore di wrestling, ma la gioia di vedere il Madison Square Garden conquistato da Kazuchika Okada, non ha niente che lo possa eguagliare in questo lungo week-end.
Mi trattengo da ogni genere di commento riguardo la “concorrenza”, che ha un prodotto estremamente diverso dal nostro; la missione di New York doveva “semplicemente” ricordare al mondo che il miglior wrestling al mondo è in New Japan. Do per scontato che si capisca che per “wrestling” intendo la capacità di intrattenere e raccontare una storia esclusivamente sul ring, senza gimmick marcate e variabili esterne.
Una definizione che viene a volte dimenticata in fase di review da alcuni che si stupiscono del motivo per cui il puroresu viene così valorizzato rispetto a ciò che viene prodotto in nord-america, indy comprese.

Ma divagazione a parte, a fine show mi sono sentito pervaso da una pace quasi mistica; una sensazione che ti da solo quando vedi gli eventi incastrarsi così perfettamente da creare pace e armonia.
Parlo a livello estremamente personale quando vi scrivo che Okada ha salvato il mio mondo, il mio prezioso mondo che tengo gelosamente custodito e a tutto il tempo libero che ci dedico. Far vincere Okada al Madison Square Garden è stato doveroso e rispettoso nei suoi confronti, che ha sostenuto per anni la compagnia sulle spalle e che adesso più che mai ha bisogno di lui.  Ciò che fa guadagnare alla New Japan, sia in termini economici, sia in termini di credibilità e prestigio, ripaga ampiamente il mega contratto firmato lo scorso anno. In generale l’evento ha segnato una netta differenza tra ROH, fin troppo ancorata ai vecchi archetipi del pro-wrestling americano, vergognandosi quasi dei primi anni di vita della compagnia e la NJPW che ha mostrato i suoi al top.

Se Okada è il lato dolce della storia, dall’altro c’è Jay White, che è stato in fin dei conti un campione di transizione, che comunque sia scrive il suo nome nel prestigioso palmares del IWGP Heavyweight Title. Il futuro e l’età sono dalla sua, la New Japan non ha mai avuto paura a rischiare con gli under 30 in zona main event, ma questa volta ci ha sorpreso a tutti questa mossa dopo appena un anno dal debutto; fatto sta che solo il tempo ci dirà se quel “Jay White” nell’elenco dei campioni sarà una meteora oppure avrà un riscontro.
Un gradino superiore addirittura la contesa tra Tetsuya Naito e Kota Ibushi, senza ombra di dubbio lo show stealer (a mio avviso) del Madison Square Garden, con un ragionevole passaggio di titolo. Ibushi è un ’82, non è più giovanissimo, ma avendo appena firmato un contratto importante la mossa è stata corretta.

Inoltre, Ibushi, non è uno stupido, sapeva bene che nessun’altra top compagnia al mondo poteva garantirgli uno spot da main eventer come la New Japan e la certezza di lottare contro i top mondiali. È un nome che vedrà entro fine anno spot nella card ben superiori al titolo Intercontinentale di New York, che è comunque un bel biglietto da visita e un bel “cesto di benvenuto” da parte dalla compagnia.
In fin dei conti, usciamo dal Madison Square Garden con una pace mistica, dopo aver curato il giardino newyorkese, con la qualità NJPW e con un roster motivatissimo e ben gestito. Adesso c’è solo da dedicarsi con cura alla prossima Road to Wrestling Dontaku, in vista, poi, di un Dominion che anche quest’anno si prospetta estremamente interessante.