I due podcast di Stone Cold Steve Austin sul WWE Network hanno avuto un’unica, implacabile costante: l’anacronistica concezione di ciò che è bello e giusto per Vince Mc Mahon. Il Chairman è stato, oramai, definitivamente sorpassato dai tempi? Più in voga di Nek, ecco a voi l’editoriale odierno.
Out of touch. Una frase semplice, che indica l’essenziale mancanza di contatto tra la realtà e la nostra percezione della stessa. E se è difficile convincere un impiegato del catasto di 70 anni che la sua visione sulla formazione della squadra del cuore è rivedibile, figurarsi convincere un multimiliardario su come gestire meglio la sua azienda multimiliardaria. Anche perché va detto, guardandosi indietro Vince potrebbe tranquillamente pensare :“credo che sino ad ora sia andata abbastanza bene, no?”.
Ed è vera anche un’altra cosa. Cioè che la visione di ciò che è giusto letta su un sito di wrestling e su di esso discussa, racchiude le opinioni di una fetta consistente ma assolutamente non maggioritaria di chi guarda il wrestling ogni settimana. Ed è un po’ come parlare di politica nella sede di un partito specifico: le idee possono anche essere diverse, ma l’humus su cui esse vengono sviluppate è assolutamente lo stesso. Dopo queste doverose premesse, possiamo passare ad analizzare il tutto più oggettivamente.
Perché è vero che sino ad ora è andato tutto bene, non solo però per meriti della WWE ma anche per palese demerito di chi negli anni si è proposto (o ci ha provato fallendo) come alternativa. Ed è vero che chi parla e discute di wrestling in modo approfondito, smart se vogliamo, appartiene ad un’unica frangia del mercato, ma è pur vero che tale frangia rappresenta i fan che vivono, seguono e studiano il wrestling quasi quotidianamente. Dunque non solo questi fan si sentono “legittimati” a dover essere ascoltati, ma sono anche quelli in possesso delle argomentazioni più plausibili in merito alle varie questioni oggetto di disputa. Ma si sa, “[…]you can’t make everyone happy, you know” (cit.)
Questioni emerse nelle due puntate del podcast di SCSA, dicevamo. Nella prima, Vince ha dimostrato di essere oramai un politicante decisamente inferiore rispetto al se stesso del passato e, per quello che vale, inferiore anche al genero. Che dal canto suo ha dimostrato una capacità dialettica in grado di deviare le domande più scomode in modo piuttosto arzigogolato e di saper utilizzare al meglio il suocero come scudo umano per le critiche più aspre, mettendo davanti NXT come ottimo esempio di personalissima e sapiente gestione del prodotto wrestling. Tirando le somme, sono emersi diversi elementi che hanno confermato ai più e svelato a qualcuno qualche retroscena sulla WWE in generale e Raw in particolare.
Vince ha avuto il grande demerito, in occasione dell’intervista, di “isolare” alcuni talenti ritenuti mancanti di qualcosa (Cesaro) e di esaltare una generazione oramai appartenente al passato che aveva più mordente rispetto quella attuale. E si sa, nel mondo del wrestling business il presente DEVE necessariamente essere meglio del passato, per una mera logica commerciale.
Ebbene il prosieguo di questa aspra critica mcmahoniania ha avuto luogo nel secondo podcast, dove elementi come la terza ora di programmazione (che porta qualche soldo in più nelle tasche di Vince, va detto), la disconnessione tra il territorio di sviluppo e la gestione specifica di alcuni talenti sono venuti fuori in modo prepotente, assieme alla sempreverde nozione che, nonostante la presenza di una foltissima sezione di booking team, alla fine l’ultima parola spetta sempre al Deus Ex Machina Vince McMahon, artefice finale dello show. Ed è affascinante, sotto certi aspetti, considerare come uno show visto da decine di milioni di persone nel mondo sia elaborato, in fin dei conti, basandosi sul gusto di una persona sola. Affascinante e spaventoso.
I segmenti comedy, per dirne una, sono per me il metro indicativo di quanto Vince incida sullo show. Il senso dell’umorismo spicciolo rimandante a “Le Comiche”, che nel periodo in cui non vi era l’etichetta PG trascendeva nella migliore commedia all’italiana rivisitata in chiave nordamericana, si è assestato su un perenne ammiccamento bambinesco, in cui possono anche esistere parentesi come una Natalya petomane (questa gimmick è esistita, non dimentichiamolo) oppure Santina Marella. Roba da farci il DVD “The rise and fall of WWE”, se la compagnia domani venisse comprata da un magnate del wrestling di una dimensione parallela.
Beh il lato comedy è un “termometro” in grado di misurare quanto Vince, ed il suo inconfondibile umorismo, incidano sullo show in generale. E non solo sullo spettacolo in senso stretto, ma anche sulle scelte riguardanti i vari talenti e sulla scelta del “top guy” così necessario per avere una continuità che affonda radici ataviche nella WWWF: Vince per qualche motivo ha un bisogno disperato di trovare il prossimo John Cena, dimenticandosi che non vi è nel roster qualcuno con le stesse caratteristiche del bostoniano, così come lo stesso era ben diverso dall’essere The Rock o SCSA. Così facendo, stiamo assistendo alla produzione di un prossimo protagonista artificiale ed imposta, con una sottesa necessità di non sbagliare che finisce con l’impreziosire ulteriormente questo colossale errore di giudizio.
La riflessione di Triple H sul territorio di sviluppo, tuttavia, appare corretta e calzante. In questo contesto storico, in cui tutti gli special event di NXT sono stati migliori dei PPV WWE degli ultimi tre anni, c’è quasi da augurarsi che alcuni talenti non vengano mai chiamati nel main roster per non essere rovinati da una gestione barbina. Charlotte a Raw rivoluzionerà il concetto di Diva? Non fatemi ridere, sarà coinvolta in incontri di 4 minuti contro worker non all’altezza, dopo le fermate obbligate Natalya e Paige. Sami Zayn ed Adrian Neville saranno aggiunte fondamentali nel Main Roster? Sono abbastanza diffidente, nonostante l’enorme potenziale da babyface sia del primo (papabile come stella di primissima grandezza, pochi scherzi) che del secondo (che pecca in statura e mic skill ma, come worker, non ha eguali).
Vince non cambierà, ne tantomeno cambierà la sua visione di ciò che è giusto. L’unica cosa che possiamo augurarci in vista di questa nuova “onda” di talenti provenienti dal basso (Zayn, Balor, Owens, Neville, Flair e Banks) è che Triple H possa essere in grado di sussurrare le giuste parole nell’orecchio rattrappito del suo illustre parente acquisito.
Danilo