Il mio timore più grande, in questa fase storica, è quello della pressione che la WWE si è messa addosso con lo split dei roster e soprattutto infliggendosi un calendario fin troppo fitto. Dico questo prima ancora di ragionare sui frutti del main event di Clash of Champions.
Vedendo lo special event nella serata di lunedì, sorseggiando un virile succo di mirtillo, aldilà degli incontri, ero rimasto colpito dallo spot del WWE Network, infarcito in pochi secondi di contenuti, più o meno interessanti e dal numero di Special Events annuali messi in bella mostra. E mai come in quella occasione ho iniziato a vedere tutto da una ottica diversa dal solito.
Ho pensato a quanto il Network si stia evolvendo, più che un in canale streaming a pagamento, in un mega contenitore sullo stile di Netflix e altri servizi VOD similari e a quanto ormai il “passo” sia praticamente quello di una/due serie tv, piuttosto che a quello dei dodici ppv autoconclusivi o presunti tali.
E allora, soprattutto in zona main event, tra Kevin Owens campione confermato, Seth Rollins in rampa di lancio per farne un nuovo HBK (ottimismo, gente), Mick Foley pronto ad essere scalzato da Triple H e finalmente una autorità heel, contraria all’etica di quella di Smackdown per dare un eventuale senso ad un match tra le due fazioni a Survivor Series, beh, lo trovo improvvisamente più interessante o quanto meno più logico del solito.
Si potrebbe dire che la stagione in WWE è sempre iniziata e finita tra una Wrestlemania e l’altra, verissimo, ma adesso la continuità va aldilà dell’evento più importante; vuoi anche perché Wrestlemania ha un valore economico, in termini di vendita al pubblico, pari all’accoppiata Backlash e Clash of Champions. Il livello qualitativo è lo stesso? Ovviamente no. Allo stesso modo tra un episodio n. 7 qualsiasi della vostra serie tv preferita e il climax che si raggiunge nel Season Finale; il costo economico finale della puntata per lo spettatore è il medesimo, la qualità chiaramente no.
Il Network e tutto ciò che ne consegue, con questa divisione dei roster, ha concluso definitivamente la fase 1, con un bel successo del settore marketing della WWE.
La situazione, che nel caso di Raw si è venuta a creare, è chiaramente sbilanciata verso il main event, unico trascinatore di questa scelta di mercato; tanto che la vittoria del titolo US di Roman Reigns è stata salutata con noia e poco più e il resto fa da contorno, più o meno buono. Tutte quelle storie sotto intese ed esplicitate da Clash of Champions, per arrivare al Raw successivo, ci danno “tanto” materiale. Che non significa tanto materiale di qualità; la storyline è magari prevedibile, ma l’idea che le sta alle spalle è quella nobile del costruire qualcosa per il futuro.
Kevin Owens deve superare questa faida con Rollins con brillantezza, ne va della sua futura credibilità. L’accoppiata con Triple H, come già detto qualche tempo fa, mi piace; lo potrebbe aiutare anche a migliorare in alcuni aspetti che potrebbero caratterizzare meglio il suo personaggio. Magari un attire diverso, più “professionale”, con un look che possa richiamare i tempi dell’Evolution, un bel completo, lo renderebbero ancora più credibile, ancora più The Man.
Ma aldilà dei dettagli, di cui potete essere d’accordo o meno, in questa faida c’è l’inizio della fase due, che non dovrà concludersi troppo tardi, ovvero il portare il livello di star power dei vari Owens, Ambrose e Rollins a quello della precedente generazione Cena, Lesnar e Orton. Capacità di calamitare l’attenzione e rendere credibile e interessante il prodotto della WWE per i prossimi anni; non per noi che siamo a scrivere su un sito di wrestling, ma per lo spettatore casuale che, adesso non è più solo l’abbonato alla tv via cavo o satellitare, ma chiunque si ritrovi la possibilità di vedere e comprare lo show dal suo mediabox, console o smart tv. Senza conoscere nulla più del logo che compare tra le app da scaricare. Una fase interessante questa, faticosa certamente e che ci farà arrabbiare spesso, ma sicuramente affascinante.