Sono passati ormai nove mesi dall’acquisto della ROH da parte di Tony Khan. Nove lunghi mesi. 270 giorni.
Ma di che salute gode la gloriosa federazione che nel 2022 ha festeggiato i primi venti anni di attività? Beh, proviamo a capirlo insieme.

Anni disastrati
Partiamo da un presupposto importante: la ROH arriva da anni di oblio totale. Sì, perché nel 2015-2016, la federazione era chiaramente la promotion numero due d’America. Aveva demolito la concorrenza di una TNA ormai in discesa, perché Impact Wrestling è e rimane la TNA, aveva una partnership importante con la NJPW e sembrava pronta per il grande passo.
Poi è arrivato Triple H. È arrivata quell’NXT incredibile che tanto ci ha fatto divertire e che aveva quell’aria indy che tanto amavano tutti. Se ne sono andati Adam Cole, Samoa Joe e Aj Styles. Se ne sono andati Steen ed El Generico, prima ancora se n’erano andati i vari Castagnoli, Black, Danielson e Punk. Corsi e ricorsi della vita del pro wrestling. Ma la ROH aveva saputo reinventarsi creando personaggi importanti e valorizzando gente che era lì da anni: i vari Castle, Jay Lethal e affini.
Ma poi è arrivata l’era del post-diaspora. Cody via. Bucks via. Page via. E tutti se ne sono andati lasciando un vuoto colmato dalla wave messicana formata da Rush e Bandido, da PCO e da tutta quella gente che, nella ROH dei tempi, avrebbe avuto vita dura nel raggiungere il Main Event.
E man mano la ROH è finita nel dimenticatoio, con una qualità altalenante che, purtroppo, ha fatto abbandonare il campo anche ai fan storici, me compreso.

Una nuova luce
Ed ecco che, dopo un 2021 disastrato e una pandemia di mezzo, arriva Tony Khan, fan di lunga data, già proprietario della AEW.
Si riparte: Death Before Dishonor 2022. Un PPV decisamente bello che vede una confezione curata e almeno tre ottimi match. Per citare qualcuno, la speranza divampa. E, sinceramente, le speranze hanno gran motivo di esistere. La AEW gode di un contratto televisivo importante e all’interno del suo roster ha vere e proprie leggende ROH: Punk, Danielson, poi Castagnoli, Joe, Page, Bucks, Omega (non proprio un ROH official ma ci ha combattuto) e tantissimi altri fenomeni che hanno calcato uno dei ring più prestigiosi di sempre.
Passano questi nove mesi e abbiamo tre PPV. Interessanti? Indubbiamente. Tutto sembra più preciso e tirato a lucido. La ROH riempie palazzetti come non succedeva da tempo e ha eventi di successo. Ma…
C’è un MA. Cos’è questa ROH? È una succursale della AEW? Ha un suo roster preciso? Ha una sua identità? Perché la ROH, almeno fino al 2016-2017 ha sempre avuto una sua identità ben precisa. Un evento ROH era sinonimo di qualità, di pro wrestling vero. Intenso. Ma, ad oggi, quello che abbiamo avuto è un qualcosa di vago e confusionario, con titoli scambiati tra lottatori ormai al tramonto (un Jericho comunque ancora pimpante) e lottatori che, per quanto bravi, sono anonimi (vero Wheeler?).

Cosa fare?
È indubbio che qualcosa non abbia funzionato. Perché, a mio avviso, Jericho doveva essere il nome di punta per convincere qualche TV a proporre un contratto per ottenere una copertura settimanale per ROH TV. E nel momento in cui quel contratto possibile è sfumato, il titolo è ripassato al fenomenale Castagnoli, mentre quello Pure a Yuta. Per non parlare dell’annuncio a sorpresa della riapertura dell’Honor Club, servizio di streaming della ROH in cui poter vedere tutti i loro eventi.
E ora? Pare si navighi a vista. Ma cosa fare? Proviamo un po’ a ipotizzare le possibili soluzioni.

  • Soluzione mensile. Tornare alle origini: un PPV al mese, come ai vecchi tempi. Quanto era bella la ROH dei PPV mensili? Molto. Ma per fare una cosa del genere, devi avere interpreti eccezionali. Bisogna creare un roster importante. Bisogna avere gente già pronta e abbinare giovani affamati. Bisogna ricreare quella ROH che vide un ricambio generazionale nel 2010-2011. Un esempio? Un Danielson da centellinare. Un Castagnoli campione che così non avrebbe bisogno di parlare al microfono ma sarebbe il campione che spacca gli avversari con la sua enorme forza bruta.
  • Soluzione webisode. A mio avviso, la soluzione migliore. Creare dei tapings prima di Rampage sarebbe il massimo. Accorpando Rampage e ROH TV si potrebbe avere un modo a basso costo per registrare magari anche due episodi e poter utilizzare l’ampio roster della AEW. La ROH godrebbe di un palazzetto pieno e uno stage “di lusso” oltre ad avere una esposizione mediatica importante che potrebbe portare a un futuro contratto TV. Ma a patto che il roster sia uno e uno solo e non serva a parcheggiare gente.
  • Soluzione NXT. Perché non trasformare la ROH in una sorta di federazione di sviluppo? Sempre portando al mix di cui abbiamo già parlato: vecchie glorie e giovani affamati. Non come l’NXT di prima ma come in questo. In cui, ogni tanto, qualche nome di punta torna e vince qualche cintura, in stile New Day. Si creerebbero le superstar del domani e l’aiuto dei vari Danielson potrebbe essere fondamentale anche a livello di training. Lasciamo stare Cheeseburger però.

In sintesi, la cara ROH naviga a vista, come già detto, con un piano che sembra ormai essere naufragato e un 2023 che sembra tutto in salita. Una cosa, però, è certa: Tony Khan ha sbagliato qualcosa. Questa ROH sembra totalmente allo sbando, un progetto campato in aria che, in questi primi nove mesi, ha avuto più problemi di quanto si dica. Certo, si può parlare di assestamento. Si può dire che questi tre PPV siano stati infinitamente più godibili di quelli dei tre anni precedenti. Possono esserci mille variabili. Mille scuse. Certo. Ma per una federazione tanto gloriosa, nel giro da ormai venti anni, e che ha regalato al mondo del pro wrestling dei performer eccezionali, vedere un trattamento così fa davvero male al cuore.
Ah, e in ultimo, per l’amor del cielo, cambiate il logo almeno alle cinture. Non è possibile che in nove mesi non si abbia avuto il tempo, la voglia o il budget per dare un design preciso alle cinture e al logo sopra di esse.