Quando hai in mano un pezzo di carbone, le alternative sono due: lo sottoponi ad immane pressione e vedi cosa succede, oppure hai fatto il cattivo durante l’anno e la Befana ti ha punito. Più nostalgico di Crippa il giorno del fallimento del Parma, ecco a voi l’editoriale odierno.

Ci sono due tipi di Campione, come giustamente ricordato da HHH due settimane fa a Raw. Quelli che, una volta investiti di un’immane responsabilità, si esaltano divenendo grandiosi e quelli che, con la cintura alla vita, sentono il peso dell’intero mondo sulle spalle. Seth Rollins appartiene alla prima o alla seconda categoria? E tra i Campioni dell’epoca recente, chi è divenuto cenere e chi diamante?

Partiamo da una storia di successo. La più semplice, ovviamente, è quella che John Cena ci racconta oramai da più di 10 anni: consacratosi come The Man a Wrestlemania 21, Cena ha occupato la zona main event lasciandola solo qualche mese per cortesia professionale o per infortunio, divenendo vero e proprio sinonimo forse non della parola “wrestling”, ma di sicuro della parola WWE. Investito di una grossa responsabilità in un periodo in cui Brock Lesnar, l’uomo destinato a diventare “l’uomo” aveva abbandonato la federazione lasciando tutti di stucco, Cena ha preso la palla e l’ha portata sino alla meta. Performer talentuoso ma non eccelso, con un discreto seguito, il Cena degli albori era distante anni luce non solo da Brock, ma anche dai suoi “predecessori” Rock ed Austin. Eppure Cena, una volta sottoposto a questa immane pressione, è stato capace di divenire senza ombra di dubbio la stella più luminosa, forse, di sempre: la vittoria su JBL segnò l’assoluto dominio di John prima a Smackdown, e poi a Raw.

Si perché il “principe ereditario”, a Raw, doveva essere qualcun altro. Con Triple H scalpitante nella corsia di sorpasso, il Campione Chris Benoit sembrava davvero funzionare poco: la sua storia di vittoria e rivalsa aveva avuto il suo culmine a Wrestlemania XX, con lo storico abbraccio fraterno con l’amico di sempre Eddie, e Chris con la cintura alla vita sembrava aver raccontato già tutto il raccontabile. A questo aggiungiamo lo spirito vendicativo di Vince ed il fatto che Lesnar, allontanatosi in malo modo, era comunque scritto negli annali come il Campione più giovane di sempre ed il gioco è fatto: Orton, reduce da un ottimo regno come Campione Intercontinentale, diviene WHC a Summerslam, turnando di fatto face e vincendo il Titolo a soli 24 anni, scalzando il primato del gorilla albino più amato di sempre. In questo caso, la pressione derivante dall’affidare le “chiavi del palazzo” ad un ragazzino totalmente inadeguato ad uno spot di primissimo piano fu troppo forte, ed il primo Regno di Orton divenne, paradossalmente, una delle macchie più persistenti della carriera di uno dei wrestler più decorati della storia. Randy non era pronto, il pubblico non era disposto ad accettarlo e HHH, ben volentieri, decise di riprendere ciò che sentiva legittimamente suo.

Facciamo un passo indietro. Corre l’anno 2004, ed Eddie Guerrero a No Way Out vince il suo primo Titolo maggiore, schienando Lesnar con l’assist provvidenziale di Goldberg. Il momento è poetico, la storia è appassionante e commuovente, Eddie raccoglie finalmente parte di quanto seminato coronando il suo sogno e…ne viene irrimediabilmente schiacciato. Il sorriso dell’Eddie scanzonato nascondeva un professionista estremamente preciso, meticoloso, ossessionato. Ogni volta che vi è un posto in meno nell’arena, una vendita in meno di una maglietta, un acquisto in meno di un PPV Eddie sente che è colpa sua, che avrebbe potuto fare di più. La fiducia che la Compagnia ha riposto il lui diventa uno stiletto affilato, che pian piano finisce con il piegarlo e con l’asfissiarlo: Eddie cede il passo ben volentieri, dando l’opportunità ad un altro performer di mettersi alla prova e riuscire dove lui aveva fallito.

Proprio il lunghissimo regno di JBL è una storia di successo, di quelle belle da raccontare. Il performer è di quelli “stagionati”, tuttavia non ha mai respirato un’aria più rarefatta di un palazzo di tre piani in collina. Anche il compito è abbastanza ingrato: divenire il Top Heel di Smackdown una volta partito l’immenso Lesnar…e JBL dimostra che il main event avrebbe potuto occuparlo molto tempo prima. Il suo tempo al microfono, i suoi spazi televisivi vengono centuplicati, così come i suoi match in singolo una volta abbandonato Ron Simmons: eppure il ricco e spocchioso Texano riesce ad eccellere, laureandosi come uno dei Campioni più longevi di sempre e passando la torcia alla persona che sarebbe diventata il vero e proprio simbolo della Compagnia.

Menzione di demerito anche per Swagger, Ziggler ed il primo regno di Punk, anche se per gli ultimi due parliamo di problemi di booking, e non di defezioni enormi mostrate dai performer. Così come due righe le meriterebbe Jericho, primo Campione Indiscusso di un regno estremamente dimenticabile, prima di ottenere la piena maturità nel suo stint successivo. Anche The Miz, strano a dirlo, da Campione ha vissuto il momento più prolifico della sua carriera, mostrandosi tutto sommato all’altezza di un ruolo che oggi, in prospettiva, appare del tutto inarrivabile. Un articolo a parte lo meriterebbe Edge, il cui potenziale è stato tenuto a freno da affollamenti non graditi ed infortuni, prima di esplodere in tutta la sua grandezza e magnificenza dopo un incasso a sorpresa ed una spear ben assestata ad un Cena reduce da un Elimination Chamber, in uno dei momenti più iconici dell’epoca recente. Ma torniamo a noi.

Seth Rollins ha ancora la possibilità di poter valorizzare il suo regno. Dipinto come campione debole, codardo, battibile, finalmente sembra che la strada intrapresa sia quella di rendere il performer credibile quel tanto che basta per non rendere il match contro Lesnar a dir poco scontato. Dal punto di vista “logico”, infatti, una vittoria di Lesnar ammazzerebbe in modo abbastanza violento non solo il regno di Seth, ma anche il push ottenuto in questi mesi di duro lavoro dentro e fuori dal Ring, rendendo di fatto il carbone prefato un inutile cumulo di cenere.

Una sua vittoria pulita, d’altro canto, sarebbe non solo illogica ma anche fantascientifica, dunque toccherà capire come la WWE vorrà evadere da questa situazione di impasse e come continuerà, se dovesse continuare, il regno del buon Seth una volta riacquistata la fiducia dell’Authority in modo da contrapporsi in blocco all’inarrestabile Lesnar. Finale sporco in overbooking avvistato da prua, ad ore 12.

A proposito del top face della federazione, un piccolo reminder per chi sosteneva l’assoluta impossibilità di un turn della Bestia, reduce da un beatdown (evitabile) in un 4 contro uno effettuato dall’Authority: https://zonawrestling.net/editoriali/54528-turned.html.

Danilo