Ragazzo, basterebbe soltanto un poco di ironia per portare al ridicolo un’esistenza fantastica. Solo basterebbe citare una, o forse due cose, per farsi che l’ombra del comico si impossessi di qualcuno di importante, revisionando completamente la sua esistenza. Eppure, inginocchiato davanti all’altare della disciplina, quando davvero si aprono gli occhi e si osserva la realtà, dal profondo al profondo esce ed entra la vera essenza di qualcuno di grande, di severamente e ingiustamente rivalutato e dimenticato, messo alla mercé di chi ha solo sentito dire. Oggi è il giorno del ricordo, della verità.
La verità è di chi vince, dicono in tanti. La verità è forse più astratta di quanto sembri, come il giusto o lo sbagliato. Ma questa volta no. Questa volta se vogliamo essere crudelmente realistici, la verità è che Pat Patterson, al secolo Pierre Clermont, ha sbagliato nella sua vita, come molti dentro il suo business, ma non abbastanza per poter essere messo da parte e non essere giustamente omaggiato, dal primo come dall’ultimo fan del Professional Wrestling.
Già, perché aldilà delle apparenze, aldilà degli scandali, aldilà di quel primo, o forse no, titolo intercontinentale, aldilà di quella Royal Rumble, c’è stato un uomo che prima ha girato il mondo, imponendosi con la schiena dritta a fan e culture completamente differenti, e poi, per 41 anni, ha saputo restare accanto a Vince McMahon, uno che, nel corso della sua carriera, ha fatto e disfatto senza troppi problemi o sensi di colpa.
Pat Patterson è uno degli artefici, senza se e senza ma, di un Wrestling che ha rivoluzionato la parola stessa. Uno dei protagonisti ridicoli davanti alle telecamere, ed egregiamente enormi dietro delle stesse. Che poi sia finito nel letto di qualche lottatore, non lo rende più colpevole di chi è finito nel letto di qualche lottatrice, che questa fosse, o no, insieme ad un alto dirigente, un Booker o un collega, magari più importante. Uno scandalo che ha presto taciuto, una grandezza che ha sempre continuato.
Nel Backstage della World Wrestling Federation, Pat ha sempre trovato il giusto equilibrio, a quanto si dice. E’ prima cresciuto, e poi ha cresciuto gli altri, fungendo da raccordo, forte e stabile, tra quella che era la stanza comune e la stanza direttiva, dando idee, promuovendo lo spettacolo, scrivendo e cancellando, abbozzando e definendo, ma sempre con il rispetto di chi comandava, qualcosa di poco scontato, la dove si intrecciavano potere, denaro e speranze.
Disponibile e in un certo senso rivoluzionario, ha saputo riciclarsi in un mondo televisivo che cambiava da anno in anno, come un battito d’ali nel tempo, attraversando un incrocio di millenni e nonostante questo non cambiando mai, sentendosi sempre “se stesso”, orgoglioso e sarcastico nei confronti di se stesso, sicuro di poter sempre dare qualcosa a chi ne avesse bisogno, e tutto in silenzio, senza disturbare e senza esagerare, senza pretendere o gridare, solo con un duro lavoro.
Ma come spesso succede, il Pro Wrestling cura soltanto certe ferite, altre le aggrava e con altre, semplicemente, non può farci niente. Il cancro, bestia devastante e arcigna, se l’è portato via nonostante una lotta furibonda. Lo ha fatto quando aveva 79 anni, quando la vita, questo si, gli aveva già dato tutto a parte la possibilità di salutarci. Di salutare, soprattutto, i compagni di una vita. Quei compagni che per anni sono stati al suo fianco, che per anni hanno discusso e combattuto con lui, riso del capo e pianto per gli amici e i colleghi andati via troppo presto.
Vince McMahon piange ancora. Piange un uomo che sembra senza scrupoli, ma che ancora una volta si ritrova a lasciarsi un pezzo alle spalle, seduto nella sua poltrona d’oro che sa che non salverà nemmeno lui dal buio, un giorno. Un buio che però sarà tale solo per un istante, proprio come è stato per Pat. La luce, poi, quella vera, spalancherà le porte di un mondo nel quale ognuno può essere come vuole, sempre e comunque se stesso, anche se è un Professional Wrestler, che può essere solo, per tutti, “un vero uomo”.