Parliamo di AEW oggi e parliamo di All Out, non in forma di review per varie ragioni, anche per lasciarvi il “piacere” di farlo voi nei commenti, ma ragionare dopo un evento così storico che chiude la fase uno della All Elite Wrestling.
Siamo a esattamente un mese dal debutto su TNT e All Out ha segnato la fine della fase esplorativo/sperimentale del primo anno di vita e l’inizio delle prime storyline da sviluppare in tv settimanalmente.
La AEW, nella sua prima era, ha utilizzato uno schema a rischio zero per reggere i propri show: Cody, Bucks, Kenny e Jericho. A volte mescolati a volte ben compartimentati, proprio per rendere il più esauriente possibile lo show. Non si esce da questa schematicità neanche a All Out, tutti i “tenori” ben divisi e tirati a lucido per accontentare i fan.
Capirete che questa ingessatura funziona benissimo in show ogni 30-40 giorni ma è impensabile riproporla all’infinito e soprattutto a cadenza settimanale, ma questo è sicuramente un pensiero che hanno fatto anche loro e che giustamente rimanderanno al mese di ottobre.
All Out è stato un discreto show, con picchi di eccellenza e qualcosa fisiologicamente deficitario, vuoi per la qualità di qualche performer, vuoi per il booking da indie di alcuni match, dove, ad esempio, la piccola Riho combatte e sconfigge Hikaru Shida più fisicata di lei o Marko Stunt combatte alla pari con gli SCU. Ma questi son gusti, ad alcuni potrebbero neanche dispiacere.
Parto da ciò che mi è piaciuto tantissimo, il vero plus della AEW sono gli Young Bucks, nessuna compagnia al mondo, oggi ha una coppia di performer di questo livello. Sono talmente bravi che da una parte ci fanno pensare che riuscirebbero a lavorare divinamente praticamente con tutti, dall’altra ci fanno venire l’ansia perché il loro livello è così alto da rendere durissima la competizione per le coppie “emergenti” che devono farsi un nome in AEW, raffrontati a loro.
Il match contro i Lucha Bros è, a mio umile avviso, il match della serata nel quale si è portato a compimento una faida perfettamente lottata. I Bucks sono il cuore e l’anima della AEW.
Per le prestazioni di Kenny Omega, rimango invece un po’ indeciso nelle valutazioni. Conosco perfettamente il suo valore passato in NJPW, come tutti voi e seppur sia sempre ad un livello più che buono in AEW, resto sempre con l’impressione di non aver visto abbastanza e mi chiedo: è finito il Kenny del Giappone? Non mi sbilancio nella risposta, vorrei più tempo per giudicare. Omega è un asset cruciale e lo sarà per molto tempo, sicuramente si è più americanizzato, il che è un bene per la tv, un po’ meno per i gusti più “radicali”.
Poi Jericho che fa il Ric Flair moderno è un gioiello. Non so quanto un personaggio del genere possa generare heat in un pubblico smart come quello della AEW, ma sicuramente andare solitario contro gli Elite è un bello spunto. Adam Page, che era quello con lo starpower più deboluccio, ne esce un po’ più rafforzato e non possiamo lamentarcene più di tanto.
Cody vive in un mondo tutto suo, molto ovattato e protetto con performer che si adeguano al suo stile piuttosto che il contrario; da una parte criticabile e dall’altro da ammirare la sua onestà. Shawn Spears è stato un rischio fino ad un certo punto, un performer sufficiente che però non è ciò che i fan AEW vorrebbero vedere. Seppur il match abbia goduto di buoni spunti, una discreta costruzione e del gradevole overbooking, per me Shawn Spears è insufficiente per questi palcoscenici, almeno come performer singolo.
Il resto dello show passa da una gradevole battle royal femminile, a dei tag team match un po’ troppo uguali di mese in mese, ad un buon match della “hardcore division” e poco altro.
Evento da vedere, non le migliori tre ore dell’anno, ma come dicevo all’inizio, con questo evento si chiude la storia della AEW indie e si apre quella della AEW main stream. Adesso inizia il bello.