Sono finite le speculazioni. E’ finito il giro di voci che ha trascinato il mondo del Professional Wrestling in un vortice pericoloso. Sono finite le discussioni. Non si vedono più quelli che accusavano Vince McMahon di tenere fuori Daniel Bryan per non intaccare il suo pupillo Roman Reigns. Sono spariti quelli che ritenevano un dio il famoso medico dell’NFL ritenendolo superiore ai medici della WWE, solo perché quelli sono della WWE, solo perché CM Punk ha detto di aver lottato con le costole rotte. Sono spariti tutti, il giorno nel quale Daniel Bryan, il lottatore, e Bryan Danielson, l’uomo, ha messo la parola fine alla sua carriera da Pro Wrestler.
Perché Bryan Danielson non stava bene. Non può più lottare. E’ arrivata l’ora del riposo. Ora prematura, senza ombra di dubbio, ma inevitabile. Il suo orologio biologico è stato accelerato all’inverosimile. Non da droghe, alcol o chi sa che. Questa volta ci troviamo di fronte all’eccesso di passione. L’eccesso di voglia di fare. Questa volta, come nella più triste delle storie, ci troviamo di fronte all’Icaro per eccellenza. Questa è stata la colpa di Bryan Danielson, regalare sogni realizzando il suo, bruciandosi, inevitabilmente, le ali.
E’ sempre stato un uomo umile. E’ sempre stato un esempio ed un lottatore fantastico. Dal primo all’ultimo giorno. Da quel primo giorno nel quale diventò il re delle Indy, fino all’ultima sera sul Ring di Raw, nel quale ha annunciato il distacco definitivo dalla lotta. Un discorso risultante di mesi e mesi di pensieri, contrasti, sclerosi del suo stesso inconscio. Dopo mesi e mesi di consigli, consulti, medici, capi e colleghi. Dopo mesi e mesi, semplicemente.
La radice del suo essere non è tuttavia sradicata, e probabilmente non lo sarà mai, ma mai nemmeno il conto aperto con il suo corpo potrà essere chiuso. Quindi è finito tutto. Tutto ritorna a prima di quel primo allenamento. Tutto finisce come se non fosse mai iniziato. Quanto possono essere brevi diciassette anni. Quanto può essere breve una parentesi di conoscenze, collaborazioni, lavoro, sangue e sudore. Oggi Bryan Danielson si ferma davanti al muro delle sue proibizioni, smettendo di essere un grandissimo Wrestler, e torna ad essere un uomo, grandissimo comunque, ma un uomo. Sarà molto più difficile di prima.
Pensa alla sua famiglia oggi Bryan. Pensa a sua moglie ed al suo cane. Non ha più bisogno di valutare lo stato della sua salute per capire se forse in passato, ha spinto un po’ troppo, se ha calcato eccessivamente il piede su un acceleratore che quando ha cominciato a vibrare, ormai era troppo tardi. Si chiede se fosse il caso di farsi trascinare su un paletto dal vecchio Nigel, portando la sua testa a sbattere più e più volte. Si chiede se sia stato il caso di subire certi calci in faccia, distaccando la sua retina e sommando giorno dopo giorno ferite a quel cervello tanto profondo quanto danneggiato.
Le domande sono centinaia, forse infinite. La risposta è sempre solo una, quella che darebbe il nostro Bryan. La risposta sarebbe si. Si, ne è valsa la pena. Perché lui è nato per questo. La sua stella non prevedeva il porsi problemi sul perché o sul quando. La sua stella soltanto prevedeva che lui scrivesse nel libro della storia una rivoluzione, un rinnovamento, un cambiamento. E mai missione fu compiuta meglio. Bryan Danielson ha aperto la strada a quelli come lui. Mentre CM Punk ha scritto la parola Indy nei circuiti che contano, lui l’ha consacrata dimostrando a tutti che un piccolo uomo, leggero, basso e al quale non avresti dato due lire, può sollevare il mondo semplicemente portando le mani al cielo e gridando Yes, o No, cambia poco. La cosa importante è che è riuscito a diventare un’icona imprescindibile. Qualcosa dal quale ormai nessuno può allontanarsi.
Abbiamo pianto, e pianto tanto. Qualcuno simbolicamente, qualcuno sul serio. Piangeremo anche quando lo vedremo salire su quell’arca della gloria che ormai non aspetta che lui. Ma dobbiamo tutti sederci, tranquillizzarci, pensare. Il destino fa nascere certe persone con una missione, quando questa missione è compiuta, allora è arrivato il momento di riposare. Dio ha creato il mondo in sei giorni, poi ha riposato. Bryan Danielson ha creato una leggenda, un movimento, una storia in diciassette anni, ora è arrivato il momento di riposare anche per lui.
Quando penserete a lui, e sarete tristi perché non lo rivedrete più sul Ring, sappiate che non è cosi. Bryan Danielson sarà sempre sui Ring di tutto il mondo, perché in tutto il mondo ha portato qualcosa. In tutte le compagnie, grandi e piccole, ha messo qualcosa di suo, calcolato, elaborato e messo in pratica un piccolo terremoto di idee, di invenzioni. Lui sarà sempre in ogni corsa, in ogni allenamento, in ogni manovra di sottomissione, in ogni volo ed in ogni coro. Il nostro amato movimento non sarà più lo stesso, perché adesso che Bryan non combatterà più, tutti dovranno farci i conti e cercare disperatamente di somigliargli. Questa è la verità.
Questo è ciò che fanno gli eroi.
Questo, amici miei, è ciò che fanno gli eroi. Questa è la favola più epica che il mondo del Professional Wrestling abbia mai vissuto. Il guerriero che lotta fino alla fine. Che da la vita per il bene di ciò in cui crede. Fino all’ultimo secondo, fino al’ultima goccia di sangue. Fino all’ultimo rantolo del tuo cervello ed all’ultimo battito del tuo cuore.
La fine della lotta di Bryan Danielson, è l’inizio di un nuovo corso, di una nuova era, di un nuovo Wrestling.
Non lo sapevamo prima, per questo siamo tristi ed abbiamo pianto. Ma adesso è tutto chiaro, tutto limpido. Il disegno si è compiuto, come una profezia scritta nella pietra. Una pietra posta in una valle fra due colline, sotto un albero che non è secco, ma sempre più verde, che porta in vita frutti, i nuovi frutti, di una nuova vita. Un albero che ha protetto la nascita dell’American Dragon e che proteggerà d’ora in poi, tutti coloro che grazie a lui nasceranno.
“..le battaglie si perdono con lo stesso spirito con cui si vincono..” Come tutti i grandi uomini, lui si è arreso lasciandoci un sorriso.
Thank You, Bryan Danielson..