Ci sono storie incredibile nel nostro secolo. Storie fatte di fughe repentine, salvataggi all’ultimo minuto, sfortune che si tramutano in fortune. Ci sono storie incredibilmente belle, accecanti, da quanto risplendono. Se si dovessero raccontare tutte, tutte perderebbero un po’ di valore, finendo per non essere cosi speciali. Qualcuna però, deve uscire fuori dagli archivi, dai ricordi, tramutarsi in parole volteggiando nell’aria e arrivare agli appassionati che oggi, in questo mondo patinato, credono che il Pro Wrestling possa selezionare soltanto in base alla provenienza o a ciò che si faceva prima. In passato però, la vita ha riservato ad alcuni sorprese brutali, per poi addolcirsi e trasformarsi in grandi romanzi, col finale tragico, magari, ma pur sempre grandi.

Una di queste storie parla di un angelo. Un angelo caduto in Russia all’inizio del ventesimo secolo, esattamente tre anni dopo il suo inizio. Prima che riuscisse a parlare, i suoi genitori, un’insegnante e un ingegnere, parlavano francese tutto il tempo, e lui, imparò quella lingua. Crescendo imparò come tutti i bambini a rispondere al suo nome, Maurice, e imparò a parlare russo. Imparò giusto in tempo per poter dire papà almeno una volta, per poi lasciarlo andare via per sempre.

Crebbe e divenne adolescente, bello e sano. Sotto gli zar studiò e cominciò a coltivare il sogno di diventare un ingegnere come suo padre. Il 1917 però, arrivò presto e a soli 14 anni, Maurice e sua madre, dovettero andare via, scavalcare gli urali e tornare nella loro terra d’origine, la Francia. La guerra stava dilaniando l’economia russa e la rivoluzione stava per dare un colpo ancora peggiore a ciò che li circondava. In Francia non era esattamente un paradiso, ma a Reims, dove si stabilirono, Maurice poté tornare a studiare e a coltivare il suo sogno di seguire le orme del padre.

La guerra finì e l’Angelo, come lo aveva soprannominato sua madre per il suo bell’aspetto, stava per laurearsi all’università di Tolosa, prima che una notizia terribile arrivasse alle sue orecchie.

Aveva visto quegli strani gonfiori sui piedi, e anche sulle mani. Credeva fossero soltanto dei semplici problemi risolvibili, ma non era cosi. Gli venne diagnostica una malattia agghiacciante, che ti strappa la bellezza, la fiducia e ti trasforma in qualcosa di spaventoso per il mondo. Maurice era affetto da acromegalia, una malattia molto rara che colpisce il sistema ormonale, facendo crescere le tue estremità, oltre che diversi organi interni, a dismisura.

Maurice riuscì comunque a laurearsi anche se non divenne mai un ingegnere in ambito civile, perché la sua voce, distorta da quella malattia che gli stava portando via tanto della sua esistenza, non era adatta a stare fra le persone “comuni”. Divenne un ingegnere per la marina militare francese e ci rimase per 5 anni, quando le sue condizioni peggiorarono e il suo essere grottesco lo portò a lasciare la Francia.

Nel 1937, a 34 anni di età, Maurice era a Singapore, dove incontrò quasi per caso un signore chiamato Karolis Pozela. Pozela era un Professional Wrestler e appena lo vide, decise che era arrivato il momento di restituirgli ciò che la vita gli aveva tolto: “Questo mondo è per tutti, Maurice, qua puoi tornare ad essere un Angelo”.

E cosi fu.. Maurice divenne un Pro Wrestler e dopo essersi allenato in Francia con il suo nuovo mentore, cominciò a combattere in tutta Europa, soprattutto nella sua terra natia e in Inghilterra. Proprio in Inghilterra fu adocchiato da Paul Bowser, un Promoter americano padre padrone della versione bostoniana dell’American Wrestling Association. Maurice, che di cognome faceva Tillet, divenne definitivamente The French Angel e fu immediatamente pushato nei Main Event della AWA.

Divenne un animale da palcoscenico. I suoi Sold Out riempirono le tasche di Paul Bowser, le sue e quelle del suo mentore, sempre con lui, Karolis Pozela. Divenne campione del mondo nel 1940 e mantenne la cintura fino al 1942. Tornerà campione del mondo anche due anni dopo, nel 1944. Diventato ormai un fenomeno internazionale, Maurice, capì che forse il suo disastro di malattia non era arrivato per fargli soltanto del male, ma anche per fargli capire che c’era una strada scritta per lui, la strada del Pro Wrestling, per mostrare a tutti quelli come lui, o quasi, che c’è sempre una via d’uscita, c’è sempre una ragione di vita.

Le imitazioni si sprecarono, ma nessuno raggiunse la sua fama. Dopo il 1945, Maurice, cominciò a soffrire un po’ troppo per la sua malattia, e all’età di 42 anni decise di rallentare. Era sempre un lottatore apprezzato, ricercato e temibile, ma con il tempo che passava, anche il sue essere inarrestabile si ammorbidiva. Il suo ultimo incontro lo combatté per la NWA Mid South Tri-State, nel 1953 contro Bartolomeo “Bert” Assirati, un lottatore inglese di origini italiane. Il Match si svolse a Singapore, dove The French Angel nacque per la prima volta nella mente di Maurice e di Karolis.

Epica, questa storia. Epica perché il nostro protagonista ha fatto davvero di tutto per lottare contro il suo male e portare del bene al resto del mondo, a coloro che lo osservavano. Come in ogni tragedia epica, però, alla fine il nostro eroe ci lascia, dopo aver portato a termine il suo compito, dopo aver vinto l’ultima battaglia.

Quando Maurice riceve la notizia della morte di Karolis, il suo maestro, il suo mentore, colui che lo aveva preso quando era solo contro un muro pronto a fare fuoco al primo attacco, si strappa le vesti e urla contro il cielo. Stringe i pungi come non aveva mai fatto durante un Match, sente le sue innaturali appendici frantumarsi, la sua voce gutturale sparire in un grugnito e le sue nocche spezzarsi contro il pavimento. Piange lacrime amare, talmente amare che nell’inghiottirle si è avvelenato il cuore, fermandolo, spegnendolo, quel giorno, per sempre.

Maurice Tillet muore all’età di 50 anni, nel 1954, un anno dopo la sua ultima battaglia. Muore per seguire colui che lo aveva sempre seguito, per restituirgli la compagnia che gli aveva offerto e dato. Muore per proteggerlo dalla solitudine del buio. Mentre Karolis cadeva nell’inferno, voglio credere, un angelo ha aperto le ali sopra di lui, lo ha afferrato e trascinato in alto, portandolo fra le nuvole, portandolo sotto il sole, lo stesso sole nel quale, insieme, avevano vissuto.