“Voi non capite quanto io mi senta sola. Non lo capite”..

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Sono alcune delle ultime parole di una donna malata, avversa ormai alla vita. E’ uno dei messaggi finali di un libro che per 46 anni è stato scritto al limite dell’impossibile, e che è poi stato sfogliato senza tenere conto della fragilità della carta, della dissolvenza dell’inchiostro. Un libro scritto a mano, con nero vivo, con una piuma lunga. Una piuma che ha stuzzicato il viso troppo a lungo per non distrarre l’artista, il poeta. La musa di sconosciuti che purtroppo, anche quando le ultime pagine venivano girate, sono rimasti tali.

E’ il primo giorno di settembre del 2021, quando una donna sta seduta davanti al suo computer e fa quella che oggi, per chi è del mestiere, è una cosa normale. Fa una diretta. Un video. Si mostra, scoprendo un’intimità talmente profonda da allontanarsi esageratamente dalle nudità cercate della massa o dai pettegolezzi indagati dai giornali. Mostra la sua debolezza, annunciando che il mondo, con tutto questo casino, la sta trascinando in una sabbia mobile nella quale era già dentro per metà. Ha una pistola e una testa che rimbomba.

Il suo nome è Shannon, il suo cognome è Spruill. La sua vita è finita.

Se l’era scampata parecchie volte, già. Prima sui Ring degli anni 90, riuscendo a scampare al freddo maschilismo del Wrestling dell’epoca, sfoggiando qualità e forza, abbassando la testa quando era necessario, ma risollevandola come una leonessa al momento giusto. C’è scritto tutto, nel libro. C’è scritto delle testate al suolo, alle sedie, al ferro freddo delle transenne. C’è scritto delle conseguenze, c’è scritto dei mal di testa a guardare il sole, c’è scritto tutto, su quel libro.

Ciò che manca è una fine adeguata, un epilogo sensato. Quella vita che non le venne strappata da un incidente stradale brutale qualche anno prima, era adesso appesa a un filo, un filo che lei, artista e poeta di se stessa, teneva con i denti, mentre la piuma continuava a stuzzicare il suo viso. Da un momento all’altro poteva non resistere più, lasciare il filo e far cadere tutto nell’oblio. Fu cosi, che mentre le sue parole erano sempre più veloci, sempre più incomprensibili, che anche la piuma si mosse sempre più veloce. Fu cosi, che scrivendo in lingue sconosciute e concedendosi troppe licenze poetiche, che quel solletico fu troppo forte, provocò una nuova emicrania e la fece gridare.

Il filo al quale era appesa la vita, cadde nel vuoto.

Tutto il mondo la conosceva come Daffney, e tutto il mondo, dopo che si sparò un colpo al petto, era pronto a sostenerla. Il suo ex fidanzato CM Punk, le sue vecchie compagne d’avventura, i suoi vecchi capi, i suoi vecchi Manager. Tutti. Ma tutti dopo. E’ morta sola Daffney, ed è morta sola dicendo di esserlo, massacrata dai dolori della CTE e devastata dalle decine di migliaia di microinfarti che il suo cervello stava subendo. E’ morta senza che nessuno la capisse, senza che nessuno facesse niente, senza che il mondo se ne accorgesse. Senza una parola, una carezza o un semplice pensiero. E’ morta e basta.

E nonostante tutto, prima di andarsene, ha lasciato una speranza per chi verrà, e lo ha fatto incolpandosi e sacrificandosi, a suo modo, per il prossimo.

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“Voglio che tutte le generazioni future sappiano. Non siate stupidi come me”..