Le nuove dinamiche che si stanno instaurando tra NXT ed il Main Roster sono sempre piú affascinanti, in quanto lo show nero/oro è passato dall’essere territorio di sviluppo al tramutarsi interamente come show alternativo vero e proprio, con tutto ciò che ne comporta.
Mentre prima le “discese” di personaggi del main roster ad NXT erano camei temporanei, circoscritti a programmi specifici ed autoconclusivi oggi capita di vedere, ad esempio, Breezango in pianta stabile oppure, caso decisamente piu´eclatante, l’ex Prince Devitt. Finn Bálor che torna in pompa magna ad NXT, show che ha fatto suo nei due anni di permanenza dal 2014 al 2016, è un evento decisamente epocale per lo show, che per la prima volta registra un ritorno di uno dei suoi personaggi di punta, complice anche il passaggio ad USA Network.
Il ritorno, tuttavia, racchiude una sorpresa nella sorpresa. Anziché tornare come figliol prodigo, come eroe trionfante in grado di liberare NXT dal giogo della Undisputed Era, Bálor è riapparso per colpire il cuore pulsante dello show, il suo babyface di punta, l’eroe eletto dal popolo: no, non parlo di Sal Veenee, leader della North League bensí di Johnny Ruestling. Una scelta curiosa, ma interessante.
Pensandoci bene, in effetti, un Bálor babyface avrebbe creato una sorta di continuità in negativo con i tre anni trascorsi nel main roster, occupando tra l’altro esattamente lo stesso spot di Gargano, ossia buono “underdog” e risktaker: entrambi si sarebbero tolti luce e spazio in modo involontario ma vicendevole. Con il cappotto ed il cappello nero da cattivo, invece, Finn potrebbe dar vita ad un personaggio abrasivo e spietato (inedito in WWE ma non nella sua carriera) servendosi anche del veleno accumulato durante il suo stint nel main roster, navigando in una zona d’ombra tra work e shoot, come espresso nel promo effettuato 5 giorni fa nel corso di NXT. Forse però il suo percorso nel main roster merita una parentesi a sé stante.
Come scritto numerose volte, il credito accumulato da McMahon nel corso di decenni di attività, piaccia o non piaccia, è incolmabile rispetto ai presunti “debiti morali” che potrà contrarre con l’audience. Ha trasformato una realtà territoriale in un mastodonte globale, creando di fatto un monopolio non facendo mai sconti a nessuno e fornendo un prodotto (con qualità altalenante) senza soluzioni di continuità non cedendo mai le redini. Piaccia o non piaccia, resta uno dei più grandi e prolifici stakanovisti della storia, la figura più importante della storia del wrestling ed un genio visionario in senso assoluto. Non si può neanche dire che la sua motivazione siano i soldi, in quanto materialmente sembra in modo quasi patologico incapace di goderseli, essendo perennemente on the road. Tutto ciò premesso, il rapporto tra lui e la realtà è paragonabile all’immagine della Creazione di Adamo della Cappella Sistina, con due indici che sembrano sfiorarsi ma che in realtà hanno il vuoto tra di loro.
La differenza tra NXT e RAW e Smackdown, quindi se vogliamo tra HHH e Vince, è che il primo ha (comprensibilmente) un approccio piu´moderno, dove lo show deve adattarsi al personaggio, mentre invece McMahon sembra oramai intrappolato nell’idea di voler necessariamente collocare dei personaggi a sua disposizione in delle caselle preconfezionate, delle idee preconcette messe in caldo da chissà quanto tempo. Un po’ come il personaggio dell’Undertaker in cui si è inserito Mark Galloway, ma con risultati meno eccellenti.
Abbiamo uno slot per un marito cornuto? Mettiamoci Rusev, un selvaggio bulgaro. Abbiamo uno slot per un lascivo gigolò? Massí, mettiamoci Lashley, un nerboruto super atleta che sarebbe la nemesi perfetta per Lesnar con due mesi di costruzione degna di tale nome (Lashley in TNA era qualcosa di sublime). Abbiamo uno slot per un leader di un club LBGT friendly? Non mettiamoci mica un lottatore dal diverso orientamento sessuale, mettiamoci Finn che ride come se avesse una paresi facendo interrogare il pubblico sulla sua omosessualità senza mai confermare o smentire. Bah.
Nel suo stint nel main roster, Bálor ha vestito perennemente panni non suoi, interpretando un personaggio dicotomico e lontano anni luce da sé stesso. Il concetto di “Club” è stato vituperato, asservito ad un’esigenza di PR non meglio definita o spiegata solo, probabilmente, per motivi legati al merchandising: Bálor é stato gestito come molti altri atleti “underdog” prima di lui, come un lottatore agile ed anonimo, capace di vincere solo nei momenti che non contano e quasi per caso. Un paradosso come, in tre anni di permanenza, l’apice sia stato toccato a due mesi dal suo esordio con la conquista del Titolo Universale: tale vetta non solo non è mai stata raggiunta nuovamente, ma nemmeno sfiorata. Anche l’utilizzo del Demone è stato qualcosa di confusionario, poco chiaro, svilito e svuotato dal suo originario significato di Extrema Ratio.
Che sia Mysterio, Bryan (prima del suo mega push), Ricochet, Bálor o Shorty Gable (un uomo normodotato di 1.73 cm per 93 kg di muscoli trattato come un midget adolescente di 1.20) il canovaccio è sempre lo stesso: sorrisi, poca personalitá, multi man matches, vittorie fluke contro giganti uppermidcarder e sonfitte umilianti contro main eventer grossi e veri. Il risultato non è mai esaltante, non lo sarà mai ma la WWE sembra non volerlo riconoscere.
In quest’ottica, a 38 anni e dopo 20 anni di carriera tra Regno Unito, Giappone e USA Bálor decide di ritornare dove è diventato grande, con un nuovo personaggio ed una nuova aggressiva attitudine. Il suo status, le sue capacità e la sua integrità fisica potrebbero garantirgli 3 o 4 anni ad altissimi livelli, divenendo nemesi perfetta o eroe redivivo a seconda delle esigenze o dei momenti: per ora dovrebbe uscire vincente dallo scontro con Gargano, resta solo da capire se lo si vorrà proporre come lupo solitario o come leader di una nuova, pericolosa stable.
Niente piu´sorrisi ed arcobaleni: we are back in black.