Se solo quella clausula rescissoria non fosse stata cosi alta.

Se solo non dovesse, in fondo, quasi tutto quello che aveva a molte delle persone che lo circondavano in quel backstage. Se solo tante cose e altre ancora non fossero cosi, adesso non si ritroverebbe in un backstage praticamente vuoto a vestire ancora una volta quel costume blu. Non si troverebbe ad impersonare, lui che era uno degli uomini più talentuosi e meno sfruttati dell’intero panorama del professional wrestling, un super eroe scaduto, che vola sui tetti e salva dai cattivi. Che soltanto, vola sui tetti e salva dai cattivi.

Il backstage quel giorno era caldo, classico ambiente da show importante ma non troppo. L’attenzione era alta ma non esagerata come nelle occasioni imperdibili, più importanti. Lui conosceva perfettamente ogni sensazione, ogni sentimento, conosceva ciò che si doveva e non si doveva fare, qualunque fosse il posto, il momento, l’occasione.

Adesso, nonostante la sua grandezza non sempre riconosciuta, si sentiva ed era effettivamente, piccolo piccolo. Era rannicchiato su se stesso, seduto su una panca come un’altra, a legarsi bene quegli stivali bianchi, stivali come tanti altri. I suoi pensieri però, non erano come tanti altri. I suoi pensieri ultimamente erano negativi, pessimisti, fastidiosi. Non immaginava di andarsene per sempre da questo mondo del wrestling e da questo mondo e basta, ma sentiva che qualcosa non era esatto nella sua vita.

Dopo che avevano trattato in quel modo a suo fratello, giusto o sbagliato che fosse, Bret era e rimaneva suo fratello, avrebbe voluto avere la possibilità e il denaro per correre via, insieme a lui, al fratello maggiore. Tanto odiato sui ring quanto amato fuori dagli stessi. Avevano costruito insieme l’inferno e anche il paradiso. Chi se lo sarebbe immaginato, che quell’anno, il maledetto 1999, avrebbe segnato la fine della carriera di entrambi. Due carriere grandi, anche se non abbastanza, che si sarebbero interrotte improvvisamente, drasticamente, come un fulmine, un battito di ciglia o di ali.

Non gli interessava se avesse dovuto continuare a lavorare nell’ombra di suo fratello, loro erano gli Hart, una cosa sola. Adesso poi, non c’erano più vicino a lui nemmeno Jimmy, nemmeno Davey, e soprattutto non c’era Brian. Adesso era solo, nonostante avesse molti amici e molti confidenti. Era solo comunque, perché sentiva che non era nel suo posto, o almeno, non lo era più. Eric Bischoff, la WCW, Ted Turner. Discorsi sentiti, fatti, rifatti, avevano tanti soldi ma per lui non erano disposti a pagare una clausula rescissoria cosi alta. Ancora una volta lo sottovalutavano. Anche dall’altra parte. Va beh, fa niente, continuerò a lavorare qua, fino alla fine del mio contratto, fino alla fine dei miei giorni forse. Ancora, di nuovo, con questo vestitino blu.

Pronto. mancano solo mantello e maschera. Apre la porta dello spogliatoio. Si dirige verso la Gorilla Position. Mette la maschera, lega il mantello con l’aiuto di un amico. Saluta alcuni, stringe la mano ad altri. Poi si ferma. Qualcuno gli ricorda che non deve andare nella Gorilla Position, ma deve salire su, la sua entrata è quella spettacolare stasera.

Fu li, che Owen Hart, capì davvero che la sua carriera era ad una svolta. Davvero era tornato a vestire il costume del Blue Blazer? Si, davvero. Forse i suoi momenti o i suoi probabili tali erano davvero finiti. Niente più King of the Ring, niente match titolati, niente Hart Foundation, niente Cage Match epici con Bret. Niente più. Niente più. Adesso soltanto voli sopra la folla, arrivando sul ring con un salto ed una musica tanto gloriosa quanto ridicola. Dove sarebbe finito, pensava, di quel passo.

Qualcuno credeva in lui, in quel backstage. Qualcuno che aveva anche qualche voce in capitolo, qualcuno che sapeva trattare con i talenti. Per esempio Jim Ross. Ma nessuno di coloro che credevano in lui, mai avrebbe potuto fare qualcosa per cambiare la situazione. Certi wrestler hanno un’etichetta, può essere la più positiva se si tratta della persona, ma non ci si esce mai se si tratta del proprio status. Owen Hart in WWF mai avrebbe vinto un titolo del mondo. Mai.

Era questo che lo terrorizzava. Aveva pensato che forse nella World Championship Wrestling avrebbe potuto. Poi però, un’altra delusione: Bischoff non paga per lui. Allora va bene, forse avrebbe avuto ancora una possibilità nella World Wrestling Federation. No, nemmeno. Di nuovo il super eroe. Sapeva di essere fortunato Owen. Sapeva di aver avuto una bella vita, aveva avuto tutto quello che molte persone in questo mondo possono solo sognare. Però, quando arrivi vicinissimo alla metà, vuoi raggiungerla, anche se ciò che sei e ciò che vivi è un privilegio quasi divino.

E allora va bene. Legatelo di nuovo. Agganciate la sua vita a quel cavo e fatelo scorrere lungo una fune che lo avrebbe portato, proprio come un vero super eroe, sul ring, al centro dell’urlo della folla.

La sua mente era completamente vuota per tutto il tragitto. Volava e guardava. Vedeva cartelli colorati. Uomini, donne, famiglie. Vedeva bambini vestiti come lui. Le braccia delle persone che urlavano erano tutte alzate al cielo, verso il supereroe. Si sentiva un Batman nella pancia della balena. Nelle menti delle persone era il bene, ma lui sapeva che quel bene non voleva assolutamente esserlo e vi era intrappolato.

Il rumore fu sordo. Il metallo che si rompe è uno dei suoni più freddi che l’orecchio umano possa sentire. Senza anima né cuore, il cavo si ruppe attirando in un secondo milioni di pensieri nella testa di Owen. Adesso si, la mente non era più completamente vuota, ma strapiena di ricordi, immagini, visi. Silenzio. Il rumore era infernale ma lui senti solo silenzio. Poi guardò giù, e fra le facce dei suoi familiari, di sua moglie, dei suoi fratelli, di suo padre Stu, intravide il ring, che centesimo di secondo dopo centesimo di secondo, quasi come succedesse a rallentatore, diventava sempre più grande.

“Mi è già successo”, infine, pensò Owen. “Sono sempre caduto da queste altezze, attutirò il colpo. Magari mi romperò una gamba, va beh, mi prendo una vacanza”.

No. Qualcosa non era come sempre. Stavolta non era stato lui a prendere la decisione di lanciarsi, non era stato lui a prepararsi, non lo sapeva che stava per cadere, all’improvviso, senza preparazione, senza nessuno che attutisse il colpo, senza sapere, senza niente. Lo sapeva Owen che non era come le altre volte. Lo sapeva ma mentiva a se stesso. Adesso mentiva e si pentiva di aver pensato che avrebbe voluto qualcos’altro dalla vita perché in realtà quello che voleva in quel momento era la vita e basta. Era la vita e basta.

Non pensava, fino a che non successe, che sarebbe davvero morto. Non pensava che tutto si può azzerare, resettare. Ogni dato può essere cancellato. Non lo sapeva. Non sapeva nemmeno che la vita non è un congegno elettronico. Non sapeva che dopo il reset i dati non ricominciano ad accumularsi immediatamente. Aveva imparato qualcosa Owen, con la sua morte. Ma come sempre quando succede, l’aveva imparato troppo tardi.

Il suo collo finì tragicamente sulla corda. All’inizio si capì poco. Pubblicità, sponsor e ritorno live. Accanto a Jerry Lawler, c’era quel Jim Ross che credeva in Owen. Toccò a lui, quasi come uno scherzo del destino, annunciare alla nazione ed al mondo, che Owen Hart, fratello di Bret, figlio di Stu, lottatore della World Wrestling Federation da quasi vent’anni, era morto quel giorno, in quel ring. Nessun match contro The Godfather, nessun match per il titolo intercontinentale.

Non so cosa avrebbe voluto Owen se avesse potuto decidere, ma lo spettacolo, come nella più classica delle occasioni, dovette andare avanti, ed avanti andò.

Sono passati più di sedici anni, ma quel 23 Maggio del 1999, quell’Over the Edge, mi ritorna alla mente spesso e volentieri. Mi torna alla mente perché quella morte arrivò, dopo una serie di coincidenze che fecero si che Owen fosse li quel giorno, in quel momento. Tutta la sua vita in quel istante, nonostante fosse privilegiata, non era come lui la voleva. La accettò comunque e si ritrovo a cadere nel vuoto come un supereroe. I supereroi però non esistono col mantello e la maschera. Esistono gi uomini e gli uomini non possono volare. Possono solo cadere. Mi piace pensare quindi, che prima ancora di toccare il ring in un impatto crudo, violento e per niente intimo, Owen dentro di se si fosse già trasformato in un angelo. Un angelo diventato tale proprio in quel momento per volare via fuori dal suo corpo e non conoscere la sofferenza di un momento terribile, quello della sua morte. Mi piace pensare che fu cosi. Che continuò a volare, nonostante nessuno lo vedesse, sotto il tetto della Kemper Arena, fino alla prima finestra. Fino alla prima via utile verso il cielo.

Direttore di Zona Wrestling. Appassionato di vecchia data, una vita a rincorrere il Pro Wrestling, dal lontano 1990. Studioso della disciplina e della sua storia. Scrive su Zona Wrestling dal 2009, con articoli di ogni genere, storia, Preview, Review, Radio Show, attualità e all'occasione Report e News, dei quali ha fatto incetta nei primi anni su queste pagine. Segue da molti anni Major ed Indy americane e non.