Il percorso di un proiettile può durare interi minuti. Quando il colpo lascia la canna, subito dopo la combustione della povere da sparo, la strada da compiere può essere tanto larga da farti pensare, a te, che presto sarai la vittima, a tutto ciò che hai vissuto, sbagliato. A tutto ciò che avresti potuto vivere, sbagliare.

 

Quando l’esplosione rimbombò emanando onde che solcavano la pelle e bruciavano i timpani, il gentiluomo, Chris Adams, cominciò a ragionare su se stesso, sulla sua vita e su ciò che avrebbe potuto essere. Cominciò a ricordare prima di tutto i suoi figli, Jade, Christopher e Julia. Ricordò le loro madri. La madre di Jade, Jeanie Clarcke, la sua prima valletta anche a bordo Ring, a inizio della sua carriera. Pensò a Toni, la madre di Christopher Jr, e poi a Miss Brandi, la madre di Julia, un’altra ragazza che insieme a lui aveva condiviso strati di carriera, squagliatisi nel caldo di un Business che con loro era stato troppo vago, troppo sgusciante.

Mentre i suoi pensieri confluivano tutti nel centro del suo cervello creando un ingorgo di neuroni ammucchiati, diede nuovamente un occhio al proiettile. Il pezzo di ferro appena spinto alla velocità folle e bruciante, stava roteando grattando l’aria intorno. Viaggiava velocissima, ma ancora più veloce fu la puzza che arrivo alle sue narici, la puzza dell’esplosione, la puzza della morte.

Distolse l’attenzione dalla freccia incandescente che stava per colpirlo e ricominciò a pensare a se stesso. I primi anni della sua carriera in Texas. Dalle piccole compagnie alla World Class Championship Wrestling. Tutto aveva dato. Tutto quello che gli era stato chiesto lui lo aveva dato per il Wrestling. Anni di compagnie, viaggi, andate e ritorni. Anni di palestre, speranze. Anni e basta. Anni spesi. Anni di vita. Dopo i primi passi importanti, quelli finiti con la delusione, arrivarono gli anni a metà. Gli anni del nome conosciuto ma non abbastanza apprezzato. Dieci lunghi cicli di dodici mesi spesi nel circuito indipendente, a guardare da lontano le Promotion che intanto, assorbite da due mostri incontrastabili, erano sempre più povere e lasciavano a quelli come Chris poco fuoco nel quale arrostire le proprie carni.

Incredibile. Non ci avrebbe mai potuto credere. Lo sparo era partito da decine di secondi, forse da 3, o 4 minuti. Tutto intorno era immobile, tutto impercettibile. Tutto, tranne quella pallottola, ormai croce e delizia di quel momento tanto tragico quanto bello. Mai, nella sua breve vita, si era fermato a pensare tanto intensamente come in quel momento. Mai. Adesso sapeva che prima o poi sarebbe finito nell’oblio, e si pentiva, mentre osservava quel punto grigiastro avvicinarsi a lui, di non essersi fermato a pensare e a riflettere.

Quindi continuò. Ricordò con piacere e amarezza velata da finta rassegnazione, di quando finì nella World Championship Wrestling. La WCW era uno di quei mostri che stavano mangiando il mondo del Pro Wrestling. Era il 1997 e lui, ormai non più giovanissimo, credeva che forse era arrivato il suo momento. Era abbastanza esperto, conosciuto. Era ormai un lottatore vero, e lo era diventato senza rendersi conto del tempo che passava, senza capire che le persone non giustificavano più i suoi errori perché non era più un ragazzino. Per questo, in quegli anni, si convinse che evidentemente, se era arrivato nella grande compagnia, era per meriti. Ma non era cosi. La sua nazionalità, quella inglese, lo portò a formare una Stable stereotipata fino all’osso, insieme a Steven Regal e Dave Taylor, ma presto, ben presto, abbandonò il gruppo. Finì a fare il Jobber, di Wrestler come Glacier. Finì a Thunder, in Match discutibili e Reverse Decision fatte soltanto per le Storyline degli altri.  Andò via, tornò in Texas. Anche stavolta, non era stato all’altezza del grande mostro.

Mancava poco ormai. La sua carne stava per essere forata alla folle velocità che un occhio umano non può vedere, per lo meno quando non è la tua, la vita in gioco. Deve sbrigarsi a riflettere ancora per un minuto. Ancora per poco. Ancora ha un ultimo peccato da ricordare. Un ultimo rimorso da sputare fuori.

E allora ricordò Linda. Tutto era riuscito a digerirlo. Ma non Linda. Non era certamente la donna che avesse amato di più nella sua vita, la conosceva appena da quattro mesi, però non gli andava giù la sua morte. Avevano giaciuto insieme per sollazzo, per amore apparente, per piacere chimico. Avevano perso il senno insieme, per una notte, forse due. Avevano peccato negli stessi momenti, ma soltanto lei era morta. Si chiedeva perché lei? Perché non lui? Non ha mai trovato una risposta e forse, soltanto adesso, capiva.

Fu soltanto un errore della morte. Un errore della vita. Un errore degli dei. Anche lui avrebbe dovuto morire. Anche lui, su un letto di ospedale, avrebbe dovuto lasciare questo mondo insieme a Linda. Ma la morte, distratta dalla forza dei suoi figli, spinta via dagli spiriti dei suoi cari, forse, aveva vacillato, era stata per un momento non cosi dura come avrebbe dovuto. Ma eccola qua. Si era presentata ancora una volta al suo cospetto. Mentre i suoi compagni, anche loro pervasi dal piacere chimico, litigavano e si sputavano contro ogni sorta di frase e ogni sorta di insulto. Un colpo parte. Parte dalla pistola di Brent Parnell, Booray.

E allora ecco che si chiude il cerchio. Linda lo sta chiamando, la morte lo sta reclamando. Lo capi un centesimo di secondo prima, un battito di ciglia appena, quando quel proiettile, scoccato ormai da una vita, penetra le sue carni, portando la caldissima sensazione della morte su Chris Adams, in un freddissimo, infinito, istante.