La finestra socchiusa lasciava filtrare una sola lamina di luce che spezzava a metà il corpo inerte su quel letto alto e scomodo. Pian piano tutto cominciava a perdere colore. Il calore apparente che infondeva il suo corpo, come una stella, andava affievolendosi e in pochi secondi i suoi occhi si chiusero lasciando che l’anima uscisse e guardasse quel suo vecchio scrigno decantare fra le coperte umide di sudore e intrise della puzza della paura. Era arrivato il momento di andare. Era arrivato il momento del riposo, per il cuore e per la mente. Un cuore e una mente che avevano impresso nella storia, nella cultura di un paese, nell’ideologia di un movimento, qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Qualcosa che sarebbe rimasto per sempre, come un diamante mai incontrato, che da valore alla sua miniera soltanto perché riflette dai suoi lati l’incredibile visione del futuro, moltiplicandola per mille.
Ciò che gli uomini fanno è, quasi sempre, un qualcosa di imparato, riciclato. Si può essere grandi artisti, grandi sportivi, grandi politici. Ma un conto è essere grandi, un conto è essere unici. Il mondo della lotta fino agli anni trenta era questo: un mondo fatto di grandi sportivi, di uomini duri, di faide reali e non. Un mondo fatto di corpi a terra, di schiacciate risonanti. Fra Promoter che combattevano per imporre il loro volere e guerrieri che imponevano i loro diritti. Era cosi anche per George Raymond Wagner.
George era un ottimo lottatore amatoriale. Un grande Grappler. Era uno di quelli che si costruivano la reputazione con il lavoro e il talento. Era uno duro. Questo però non gli bastava. Dentro di se covava il desiderio di incontrare l’uscita di un circolo che si era stabilizzato per troppo tempo. Credeva che negli anni a venire, dove la guerra avrebbe ferito ancora una volta il mondo, ci fosse bisogno di esempi che andassero oltre la pura e cruda forza bruta. Che andassero oltre la vittoria del migliore. Per questo decise di lasciarsi andare. Riteneva fosse un limite per lui salire sul Ring e vincere, per poi prendere il suo denaro e andarsene. Non voleva essere ricordato, voleva essere!
Per questo aprì mente e bocca. Fece riflette le luci della sua entrata sul biondo dei suoi capelli. Mise una musica in sottofondo. Cominciò ad atteggiarsi. Funzionò. La gente aveva capito che qualcosa stava cambiando. I Promoter avevano capito che qualcosa stava cambiando. Lui, George, aveva capito che poteva davvero farcela. Poteva farcela a ridimensionare una disciplina intera. Poteva, nel bene e nel male, creare un sistema che avrebbe potuto scatenare emozioni vere nelle menti delle persone. Un sistema con il quale chiunque avrebbe potuto riconoscersi, anche se questo chiunque non fosse stato bello, forte, muscoloso. Creo la sua Gimmick, si nascose dietro una Keyfabe, prese un microfono è raccontò, difendendo e accusando, le storie di tutti i giorni, amplificandole cosi da rendere ognuno di coloro che stavano assistendo o ascoltando, un protagonista.
E nacque Gorgeous George, il padre, il vero padre, del Professional Wrestling.
Gorgeous George non è una semplice leggenda. Non è Ric Flair, non è The Rock, non è John Cena, Sting o Macho Man. Gorgeous George è il precursore dell’era moderna. E’ colui che ha dato l’oro a quella epoca difficile e stantia. Ha rivoluzionato una società, oltre che uno sport spettacolo. Ha ispirato una bella fetta di una generazione, rendendo possibile alcune cose che sembravano essere impossibili. Tanto bello, tanto magnifico e lucente, da aver ispirato Muhammad Alì, quel giorno che si proclamò il più grande Wrestler del mondo, con un Promo, uno dei primi, nei quali metteva in gioco i suoi capelli, anche questo per la prima volta.
Non ci sarebbe stato il Wrestling che conosciamo oggi, senza Gorgeous George. Non ci sarebbero stati i Nature Boy, tutti ispirati a lui. Non ci sarebbero stati i lunghi discorsi di Dusty Rhodes, i Piper’s Pit. Non avremmo conosciuto il talento di The Rock, l’Era Gimmick e l’Era Attitude. Antonio Inoki e Giant Baba non avrebbero pescato dall’America quei lottatori che hanno contribuito a mescolare il Puroresu all’intrattenimento e oggi non potremmo parlare di Kazuchika Okada. Non sarebbe esistita la Extreme Championship Wrestling. Non esisteremmo noi in quanto fan di Pro Wrestling.
Sarebbe tutto piatto. Sarebbe tutto qualcosa di simile a un’altra lotta. Sarebbe niente. Invece è tutto.
Invece è luminoso. E’ psicologico. E’ attrattivo. Invece ci ha fatto innamorare tutti, rendendoci schiavi di una passione che non vale la pena barattare con la realtà tanto difficile che viviamo. Ha trasformato semplici gladiatori in stelle sfaccettate. Ha inventato nuovi talenti, ha divelto porte che rappresentavano tabù. Ha scritto nella pietra le regole di un gioco che è andato avanti per più di settant’anni e non sembra abbia intenzione di fermarsi.
Se qualcuno vi chiede di Gorgeous George, non rispondete semplicemente che era un vecchio lottatore importante. Rispondete che era un rivoluzionario, che attraverso il Wrestling ha smosso talenti, capacità, dato forza e ispirato chi veniva dopo di lui. Rispondete che ha creato un mondo, trasformando una semplice forma di andare oltre alla forza dell’avversario, con un misto di intelligenza e strategia agghindata di voci, luci, musiche, immagini ed emozioni.
Gorgeous George Wagner muore il giorno dopo Natale del 1963, all’età di quarantotto anni. Lascia il mondo dopo aver creato un macrosistema che oggi tutti chiamiamo Sport Entertainment. E’ stato un’icona anche fuori dall’ambiente, una stella vera e assoluta. Un grande uomo con una storia che ogni fan di Wrestling dovrebbe vantarsi di conoscere. Uno dei grandi esempi che la nostra mania mette sul piatto quando qualcuno cerca di abbatterci. Gorgeous George è il grande pastore che guida le anime perdute da noi piante, colui che ha le chiavi del grande cancello immaginario. L’unico che può permettersi di insegnare a tutti, fra le nuvole, a scrivere storie per noi.