In quanti cuori appassionati di wrestling e in quante menti pensanti di tifosi incalliti, in questo mondo e in questo momento  ci sarà Randy Orton.

Uno dei più grandi figli d’arte di tutti i tempi. E’ riuscito a superare di gran lunga il padre, ormai nemmeno lo vede da lontano, vincendo titoli del mondo su titoli del mondo e diventando una delle bandiere più splendenti della WWE. Io non sono nessuno per dire che tutto questo, cosi tanto, non lo merita e non lo avrebbe meritato; non sono nessuno per dire che è probabilmente il wrestler più sopravvalutato degli ultimi 15 anni, per tutto ciò che ha avuto; e soprattutto non sono nessuno per dire che quel suo titolo del mondo vinto per la prima volta all’Air Canada Center di Toronto, Ontario, Canada, fosse un regalo troppo precipitoso, immeritato e giunto per un capriccio.

Fu colpa di Brock Lesnar. Proprio cosi: di Brock Lesnar. Nonostante la Next Big Thing avesse lasciato la WWE 5 mesi prima dopo un match da sogno, trasformato dalla WWE e dalla folla in un match da metà card privo di interesse ed emozione, lasciò alla compagnia un’eredità pesante ed un record appiccicato al suo nome.

Vince McMahon era già grande e non vedeva bene oltre la punta del suo naso. Anche se sapeva che Brock Lesnar prima o poi sarebbe tornato nella WWE, decise di strappargli quel record e darlo ad un lottatore nato li, che succhiava il latte dalla madre signora del wrestling mondiale e soprattutto amico degli amici, o dei generi. Quel ragazzo era Randy Orton.

Aveva 23 anni Randy, quando John Laurinaitis e Triple H gli dissero insieme a Vince McMahon, che la compagnia aveva in serbo qualcosa di grande per lui: era il 2003. “Prima di tutto con l’appoggio di una delle stable più riuscite di sempre, l’Evolution, vincerai il titolo intercontinentale, poi, nel 2004, l’anno che verrà, salirai velocemente i gradini che portano alla gloria”. Tutti già sapevano che Brock Lesnar non aveva nessuna intenzione di rinnovare il suo contratto e che, nonostante le scarsissime, per non dire nulle, possibilità, avrebbe tentato la scalata nel mondo del Football americano nella squadra del suo stato adottivo, i Minnesota Vickings.

Randy Orton fu inserito in un programma importante insieme a Mick Foley, uno che già a quel tempo si dedicava ad aiutare i giovani talenti. Randy ebbe una serie di match con Foley, che culminarono, dopo l’handicap match di Wrestlemania XX dove l’Evolution meno Triple H sconfigge Foley e The Rock, in un incontro a Backlash: Hardcore Match per il titolo intercontinentale. Dopo quella contesa tutti salirono sul carro del vincitore, Randy Orton era la promessa più futuribile della WWE. Più di Edge, più di Christian, più del suo compagno Batista, che nell’immaginario del super capo Vincent, era invece partito in netto vantaggio.

Batista però non era nato nel 1980, ma parecchio prima, quindi non poteva essere utilizzato in quell’edizione di Summerslam e in quel main event.

Il record che Brock Lesnar si era portato in Minnesota era quello di campione del mondo più giovane della storia della WWE. Randy Orton era l’unico lottatore più giovane di quel Lesnar vincente, con uno star power abbastanza risonante da poter battere quel record. Lo farà a Summerslam, proprio lo stesso PPV nel quale due anni prima Brock Lesnar sconfisse The Rock strappandogli la cintura. Il suo avversario, colui che al tempo era campione del mondo, Chris Benoit, è una vittima assolutamente sacrificabile e tanto “se le cose vanno male, ad Unforgiven restituiamo la cintura ad Hunter”.

Proprio cosi andò.

Vince McMahon bruciò il primo regno da campione del mondo di un Randy Orton che da li in avanti non sarà più lo stesso. Quella vittoria arrivata troppo presto non solo diede fuoco velocissimamente al suo momento di ascesa, ma lo trasformò in una specie di main eventer vissuto e passato, che cominciò a comportarsi da veterano senza però avere l’esperienza dello stesso. Quella stella che avrebbe potuto diventare un ottimo lottatore sul quadrato e nel backstage, divenne, cullandosi sugli allori, un wrestler sufficiente sul quadro e intoccabile, oltre che, spesso e volentieri insopportabile, nel backstage.

Negli ultimi anni Randy Orton ha riacquistato parte del suo smalto sul ring, bisogna ammetterlo, e la unificazione dei titoli maggiori potrebbe avergli fatto capire che adesso un posto per lui nel main event non è sempre garantito. Probabilmente con l’età adesso sta trovando davvero la giusta dimensione che avrebbe dovuto acquisire nei suoi primi anni da uppercarder. Forse adesso capisce che è giusto fare per gli altri quello che Mick Foley fece per lui e non è il caso, perché sbagliare è umano, di strillare in un ufficio perché il Ken Kennedy di turno ha sbagliato un Back Drop, facendo si che il capo lo licenzi.

Spero che Randy Orton, adesso, sia diventato quello che avrebbe dovuto diventare senza quel titolo talmente forzato da essere impossibile da gestire. Talmente forzato da dover costringerlo, da face, a sputare in faccia ad un avversario e scappare fra la folla come un cane. La WWE sbagliò educando male una sua promettente stella, questa sbagliò, forse per l’età, il suo modo di porsi nei confronti del suo mondo. Oggi quella stella è cresciuta e chissà che, l’età, non abbia portato buoni consigli e buon senso.

Sicuramente, anche se non lo amo come wrestler, lo amo dal giorno che lessi sul Pro Wrestling Insider, che defecò nella borsa di Rochelle Loewen, e da pochi giorni, lo amo anche perché può essere un esempio per tutti i lottatori più giovani di lui, dicendo e continuando a dire sempre, che le droghe stavano per ammazzarlo.