Era il 29 agosto del 2015 quando uscì, su queste stesse pagine, un articolo dal titolo Flight By Flight. Quel pezzo parlava dell’incredibile sacrificio di “The Dynamite Kid” Tom Billington per il Professional Wrestling. Il 29 agosto del 2015 però, Tom Billington, seppur seduto su una sedia a rotelle, non ci aveva ancora lasciato. Oggi invece il ragazzo dinamite è morto. Non ci sono parole nuove, se devo essere sincero, per ricordare ciò che era. Tutto ciò che dovevo dire lo avevo detto, e senza sprecare parole, senza forzarle, perché farlo sarebbe come mancare di rispetto a un uomo che di parole aveva scelto di dirne poche, riporto alla luce quel pezzo, oggi più amaro, ombrato dall’oscura figura della morte. Una morte che forse lo ha liberato, o forse no, che spinge tutti noi a ricordarlo ancora una volta, sperando che non sia l’ultima e che chi occupa le sedie importanti, fra carte, decisioni e business, faccia lo stesso.
Preferisce guardare il cielo cupo del regno unito, piuttosto che accendere la televisione o guardare le vecchie foto. Non vuole più vedere quei pantaloni blu, quei vestito con la bandiera della sua terra. Preferisce sentire i suoi parenti, quelli legati a quel mondo, soltanto per telefono. Non vuole sapere altro. Non vuole riconoscimenti, non vuole essere compianto, non vuole sorridere.
L’ultima volta che dovette pensarci, fu quando suo nipote venne a trovarlo a casa. Non poteva non accoglierlo, nonostante sia un nipote di secondo grado, è pur sempre figlio del suo più grande amico, prima di tutto. Avrebbe preferito però non avere quell’altra gente, quella macchina fotografica, quell’attenzione. Ne ha avuto troppa nella sua vita, talmente tanta che ne è diventato schiavo. Ha dovuto fare brutte cose per non perderla.
Ci penserebbe due volte o forse più, Thomas Billington, se tornasse indietro nel tempo. Probabilmente staccherebbe la mano, la terrebbe ben vicina al suo corpo, per non accarezzare più il sogno di diventare un Pro Wrestler. Lascerebbe stare ogni rapporto con Billy Riley, con Stu Hart. Se ne resterebbe in Inghilterra lasciando partire da solo il suo amico Davey. Ci penserebbe bene perché sa quanto gli è costato tutto ciò che ha fatto. Sa quanto ha pianto e quando invece non avrebbe voluto farlo.
Ha imparato tante cose per diventare un vero Wrestler Tom Billington. Quando poi è diventato un vero professionista, davvero famoso, davvero in tutto il mondo, ha dovuto imparare ancora più cose, per tornare un uomo normale. Anche se in realtà, un uomo normale, non lo è mai tornato.
Era bello, fantastico, bagnarsi i piedi nell’acqua che si accumulava per colpa delle perdite nel pavimento della Snake Pit. Era esaltante e adrenalinico sfiorare il tetto del Dungeaon quando si lanciava per imparare il Flying Headbutt. Era tutto fantastico, all’inizio. Poi i piedi, quando non si bagnavano più, erano pieni di formiche. Sempre, continuamente. Non sentiva le dita e li sbatteva in terra, cercando di rinvigorire la circolazione. Ma non era la circolazione, era quella maledetta schiena. Ora che la sua testa non sfiorava più il tetto del Dungeon, scoppiava ogni volta che toccava terra, perché quel maledetto Flying Headbutt, gli stava atrofizzando tutti i tendini, gli stava traumatizzando la colonna vertebrale, oltre che l’esistenza.
I danni di uno stile non si vedono subito, si vedono con il passare degli anni, e non è un caso che Tom, abbia dovuto sottoporsi a moltissime operazioni alla schiena e alle gambe. Harley Race, inventore del Flying Headbutt, ha più volte parlato della manovra ricordando la sua pericolosità e facendo riferimento proprio a Tom Billington, parlando dei suoi problemi e delle operazioni che ha dovuto subire.
Tutto questo, come nella maggior parte di questi casi, porta all’abuso. Gli antidolorifici, gli steroidi, tutte le medicine prese per restare in forma e non pensare che da un giorno all’altro avresti potuto collassare e salutare definitivamente il mondo, hanno dato quello che se non è stato un colpo di grazia e solo per fortuna. Tanta fortuna.
Oggi Tom Billington vive nel Regno Unito, dove è nato. Vive guardando fuori dalla finestra assistito dal suo angelo, chiamato Dot. Non vuole avere più niente a che fare con il Pro Wrestling, vuole dimenticarselo per dimenticarsi tutte le sofferenze che gli ha portato. Giusto o sbagliato che sia, questo è il suo pensiero e va rispettato. Va rispettato perché Tom ha capito che il corpo di un umano non è una macchina indistruttibile, non è nemmeno un arnese che può essere riparato troppe volte. L’ha capito quando ha avuto i suoi infarti, l’ha capito quando è stato colpito da un ictus. Lo capisce bene tutti i giorni, adesso. Capisce benissimo che un soprannome non ti rende dio, perché la dinamite fa esplodere le case, ma esplode con esse.
E’ stata questa la vita del leggendario The Daynamite Kid. E’ esploso nei Ring di tutto il mondo come la dinamite. E’ esploso volando dai paletti di ogni quadrato facendo esplodere la folla. Non si è reso conto abbastanza presto però, che anche lui, esplosione dopo esplosione, si stava distruggendo. Stava riducendo in poltiglia la sua schiena e dimezzando pericolosamente i suoi anni di vita.
Rimane però uno dei talenti più rivoluzionari del Professional Wrestling, anche se oggi lo si deve guardare sulla sue sedia a rotelle. Uno di quelli per cui i giovani cominciano ad allenarsi e combattere, proprio come un’altra nostra vecchia conoscenza, Chris Benoit, che a inseguire la grandezza di Dynanite Kid aveva dedicato la vita.
Non lo vedremo nella Hall of Fame, sono sicuro, perché lui non vuole avere niente a che fare con il Wrestling. Non lo rivedremo in uno Show, non davanti al grande pubblico. Ma lo ricorderemo sempre, anche se lui vorrebbe cancellarsi da tutte le nostre teste. Non puoi Tom, non puoi cancellare il tuo ricordo dalle nostre menti, perché sei una leggenda, di quelle vere, e come tale sarai onorato.
Purtroppo per noi, forse non per lui, il colpo di grazie stavolta è arrivato. Muore il giorno del suo sessantesimo compleanno, The Dynamite Kid. Muore durante un festeggiamento, come se la sorte avesse aspettato la data esatta, cosi che ancora una volta qualcosa di più unico che raro, potesse avvolgere la sua aura di leggenda. Muore a pochi giorni dalla morte di Larry Hennig, The Axe, che lo raggiungerà ben presto, la dove i pensieri prendono forma e si può tornare giovani, forti e sani. Adesso il buon Tom è di nuovo in piedi, di fronte alle porte del paradiso, non aspetta che di entrare. Non aspetta che di incontrare quel vecchio amico con il quale aveva diviso pane, fortune, sfortune e malattie.
Speriamo che anche qua sotto, in un mondo veloce e feroce, chi di dovere si renda conto che l’onore, seppur sottoforma di un numerico nuovo nome scritto in una lista che la maggior parte dimenticheranno, è il fulcro per restare leggendari. I British Bulldog sono ascesi al paradiso degli uomini, è ora che ascendano anche al paradiso degli dei.
….non puoi Tom, non puoi cancellare il tuo ricordo dalle nostre menti, perché sei una leggenda, di quelle vere, e come tale sarai onorato…..