Era nato a Quitman, in Missouri. “Quitman”, che in una traduzione un po’ spicciola, potrebbe significare “l’uomo che cede”, colui che abbandona. Potrebbe essere la rappresentazione di una persona che si accontenta, che la da vinta, che fugge. Invece, mai uomo fu più diverso da tutto questo di Harley Race. Ci sono voluti 76 anni, un migliaio di Match e un cancro ai polmoni per farlo cedere. Ma non ha detto “I Quit”, non ha battuto la mano al tappeto, ciò che ha fatto è cedere a una presa un po’ troppo stretta, stringendo i denti fino all’ultimo, urlando “no” con tutto il fiato che aveva in gola, pendendo i sensi, poi, lentamente e quasi dolcemente, liberato dal dolore ma non dalla paura, quella no, di quella non ne ha mai avuta, è stato costretto ad arrendersi.
Il suo debutto risale al 1960, come Wrestler. Il suo debutto, come uomo, risale al 1943. Fa capire subito alla vita e ad alla morte che con lui non potranno giocare con le stesse regole, e glielo fa capire in un modo molto complicato per chiunque, ma facile per lui: sconfiggendo la poliomelite. Dopo aver archiviato la pratica fino a quel momento più complicata della sua vita, si dedica finalmente al Professional Wrestling, del quale è un fan da sempre. Comincia ad allenarsi che è praticamente un bambino, lo fa alla corte dei fratelli Zbyszko, Stanislaus e Wladek, due Strogman e Pro Wrestler polacchi che influenzeranno tantissimo il suo stile e che, mentre lavorano su di lui, si rendono immediatamente conto della sua scorza, della sua corazza, qualcosa assolutamente fuori dal comune.
Passa anche sotto le mani di Buddy Austin, con il quale affina il suo parco mosse, per poi rifinirsi con Dick Hrstich, un Wrestler croato che aggiunge ancora una nuova visione al bagaglio di esperienza di Harley, preparandolo ancora meglio a ciò che sarà il suo futuro: un futuro leggendario.
Harley Race nel corso della sua carriera vince otto volte il titolo del mondo della National Wrestling Alliance, dal 1973 al 1984, durante undici lunghi anni nei quali non solo diventa uno dei più grandi lottatori di tutti i tempi, non solo si guadagna una fama da duro in ogni ambito della sua vita, ma mette insieme anche una serie di incontri che passeranno alla storia per aver rivoluzionato il mondo del Pro Wrestling e per aver regalato ai posteri momenti e nomi altamente rivelanti per l’intero movimento. E’ stato contro Harley Race che Dusty Rhodes, per esempio, ha vinto il suo primo titolo del mondo, che restituirà il favore alla storia in futuro, quando metterà le spalle al tappeto per il primo titolo di Ric Flair.
Insomma siamo davanti ad uno degli uomini che hanno calcato un Ring di Wrestling più importanti di sempre. Uno che dopo aver dato tutto non era comunque contento e decise di continuare a darlo prima con una compagnia, la World League Wrestling, poi con la sua scuola, la Harley Race’s Wrestling Academy, dalla quale è venuta fuori gente come Ted di Biase Jr, Ricky Steamboat Jr, Trevor Murdoch e su tutti Tommaso Ciampa. Una scuola fatta per essere forgiati a fuoco, che trasmette quella che era l’essenza del vero Race, del vero leone.
Harley Race si è guadagnato il rispetto di colleghi e fan grazie al suo modo di essere, grazie alla sua forza e grazie alla sua testardaggine. Ha affrontato nella vita un sacco di nemici, proprio come nel Ring, difendendosi da gruppi di bulli che cercavano l’attenzione di un momento, un quarto d’ora di fama, ma si sono soltanto trovati con un naso o un braccio rotto. Fu anche per il suo modo di essere che la sua leggenda crebbe a dismisura, trascinandolo inevitabilmente in una bolla di Rumor e leggende che lo hanno sempre accompagnato. Nessuno era forte quanto Harley Race, nessuno era coraggioso quanto Harley Race.
La sua grandezza viene riconosciuta nel 2004 dalla World Wrestling Entertainment, che lo introduce nella propria Hall of Fame, anche se lo confonde un po’ troppo fra il resto dei premiati, non dando il giusto tributo né a lui né ad altri che lo avrebbero meritato, come Bobby The Brain Heenan, per dirne uno. E’ Ric Flair a fargli da padrino e a ricordare quel grandissimo Steel Cage Match con Gene Kiniski fra loro, che fu il primo storico Main Event della primissima edizione di Starrcade, nel 1983. L’anno dopo viene introdotto anche nell’arca della gloria della National Wrestling Alliance. A loro malgrado però, tutti arrivati in ritardo, perché la World Championship Wrestling introdusse Harley Race nella propria Hall of Fame nel 1994, tre anni dopo il suo ritiro.
In questo 2019, purtroppo, Harley Race scopre di avere il cancro, o almeno lo annuncia, lo confida. E’ Ric Flair a darcene notizia. La tristezza comincia a farsi strada ma David Marquez, Promoter della Championship Wrestling From Hollywood, ci rassicura dicendoci che il male non è maligno, probabilmente su richiesta dello stesso Race, o della famiglia. Il male purtroppo maligno lo è, e si porta via in pochi mesi “The King” (si, è stato anche re, l’unico riconoscimento in WWF a parte la Hall of Fame), succhiandogli l’aria che aveva in corpo e tappandogli irrimediabilmente i polmoni. Harley ha lottato, come sempre, con le unghie e con i denti, cercando di arrivare alla corda e aggrapparsi ad essa, come tante volte ha fatto durante i lunghi anni della sua carriera. Purtroppo questa volta non ce l’ha fatta, il tumore lo ha riportato in mezzo al Ring in maniera molto più violenta e ruvida di come solevano fare Ric Flair o Giant Baba.
Harley però non ha ceduto. Ha detto no, ha continuato a tentare e se ha smesso di lottare non è stato perché la sua idea era quella, non aveva maturato in lui la volontà di dire basta, non era un concetto presente nel suo cervello. Il suo corpo però è un’altra cosa e ha ragionato di sua sponte, stremato anche lui da una catena di montaggio troppo rigida per essere sostenuta a lungo. E’ stato questo il problema di Harley, la sua volontà era troppa per il suo corpo, alla fine ha dovuto implodere.
Non nascerà più un Harley Race, come non nascerà più un Bruno Sammartino. Quei lottatori di altri tempi, che dovevano difendere se stessi dalle grinfie di avversari “amici”, ma anche da quelle che di avversari veri. Gentiluomini che avevano l’onere e l’onore di mettersi davvero una compagnia sulle spalle, che avevano davvero l’onere e l’onore di concedere un Job, che avevano ed avevano davvero, in tutti i sensi, capito che cosa significava essere una stella e brillare per sempre.