Avrà sentito le campane suonare nella sua testa per tutta la notte. Per sei, sette, otto lunghe ore, avrà sentito le campane suonare. Avrà immaginato, capendo che ormai è arrivato il momento tanto inevitabile quando irreale, che lasciarsi alle spalle le botte, i voli, i dolori, può essere solo la cosa di un momento, di una fase. Avrà poi, finalmente, realizzato che il mondo che ti ha coccolato e nel quale hai sguazzato per 30 anni, adesso non è più il tuo, o almeno non lo è allo stesso modo. E le lacrime non sono mai abbastanza. Una moglie, i figli, gli amici. Niente è mai abbastanza, quando sei costretto a sradicarti da solo, a forzare una volta in più per tirare fuori le radici dalla terra che per una vita ti ha alimentato.

Come lui anche chi guardava, forse, ancora non ha realizzato.

Forse non si riesce ancora a capire bene se quel gesto è avvenuto davvero, se quel cappello e quei guanti sono stati lasciati al tappeto, stesi dalla più dura delle Tombstone. Undertaker si è ritirato, ma Mark Callaway non smetterà mai di essere quella figura che per anni ha regalato attese, emozioni, sorprese. Che per anni ha immolato il suo corpo, fra una fossa e l’altra, e per anni ha dato vita nonostante fosse un “uomo morto”: il più umano degli zombie.

Ma non gli si può chiedere di più. Dietro quella maschera rimane sempre un uomo, uno che per quanto sia stato amato, odiato o attaccato, sempre si è spremuto fino a che ha potuto, fino all’ultima fibra. Il suo debutto sembra ieri, il suo ritiro sembra impossibile. Ciò che è Undertaker non è spiegabile in maniera semplice, perché non è Shawn Michaels, non è Ric Flair, non è Sting. Undertaker è l’incarnazione del professionista perfetto e del personaggio perfetto. Eterno. Insostituibile.

La più azzeccata delle Gimmick, ma soprattutto, sull’uomo più azzeccato di tutti.

Rispettato immensamente, non solo dai fan, non solo dagli addetti ai lavori, non solo dai colleghi. Undertaker, o se vogliamo Mark, è stato l’unico uomo a potersi permettere di sbattere i pugni alla porta di Vince McMahon, ricevendo come risposta uno sguardo basso ed un “va bene”. Perché Taker parlava poco, ma parlava bene. E’ non è una questione di soldi, il problema non era perdere una fonte di guadagno, il problema era perdere un Leader, un Leader che in un certo senso era tale anche per il suo capo e che il suo capo, aldilà di tutto, ha sempre riconosciuto come tale.

La sua carriera è stata lunghissima, ed è stata anche un lampo. Oggi pare essere volata, conquistando titoli, conquistando folle, conquistando strisce a Wrestlemania. Un percorso irripetibile servito a lui, alla compagnia ed anche a coloro che lo hanno affrontato. Dalla numero 7 alla numero 33. E’ passato lavorando e sforzandosi, attraversando 5 ere, sempre reinventandosi, ma sempre lo stesso. Proprio come agli inizi, con la WCCW, con Dutch Mantell e con Paul Bearer. Il caro Paul Bearer. Ucciso negli schermi, adorato fuori dagli stessi.

Ci sono stati dei momenti belli e dei momenti brutti. Dei periodi eccellenti e dei periodi di basso profilo. C’è stata la prima Storyline con Kane, c’è stato il Biker, e poi c’è stato di nuovo Kane, ed il ritorno del becchino, probabilmente la situazione più emozionante di tutta la mia vita da fan: le campane a Wrestlemania XX. E la Streak. La famigerata Streak, che se si pensa bene non aveva senso fino al 2005, ma che nasce in uno di quei momenti spenti, poco rilevanti, come ha dire che Undertaker non solo rinasce dopo ogni sepoltura, dopo aver bruciato dentro una bara, Undertaker rinasce anche creativamente, anche logicamente. Rinasce e basta, sempre e comunque.

Brock Lesnar poi, fa scricchiolare il castello. Fa tremare le pareti. Si sta avvicinando la fine, seppur sportiva, del Deadman. E cosi è stato. Bray Wyatt è stato un passaggio, poi ancora Lesnar, Shane ed infine Roman Reigns. Undertaker alla fine dei conti, ha dimostrato non solo di potersi portare a casa un Main Event reggendosi a malapena in piedi e contro un avversario che non ha saputo aiutarlo più di tanto, ma anche ha dimostrato di saper guardare avanti, di sapersi offrire per chi viene adesso, per chi oggi ha da portare avanti il carro.

Non chiedetevi se Undertaker ha meritato di andarsene con una sconfitta. Non chiedetevi se proprio Roman Reigns doveva sconfiggerlo. Non chiedetevi se la WWE non lo ha rispettato fino in fondo. Chiedetevi invece se è stato grandioso vederlo andare via a testa alta, dopo una sconfitta, nel palcoscenico più importante di tutti, fra sfumature azzurre ed accompagnato dalla sua musica, mentre settanta mila persone gli dicevano grazie.

E poi rispondetevi. Rispondetevi che quell’uomo è stato un pezzo importantissimo della nostra vita di appassionati. Rispondetevi che nessuno ha fatto ciò che lui invece è riuscito a fare. Rispondetevi che a nessuno la folla di un’arena, ha dato un tributo in coro all’inizio di una puntata di Raw per tutto quel tempo. Undertaker non è una leggenda del Professional Wrestling, Undertaker è per definizione, per la sua storia e per ciò che ha lasciato, “LA….. Leggenda del Professional Wrestling.

Direttore di Zona Wrestling. Appassionato di vecchia data, una vita a rincorrere il Pro Wrestling, dal lontano 1990. Studioso della disciplina e della sua storia. Scrive su Zona Wrestling dal 2009, con articoli di ogni genere, storia, Preview, Review, Radio Show, attualità e all'occasione Report e News, dei quali ha fatto incetta nei primi anni su queste pagine. Segue da molti anni Major ed Indy americane e non.