Lo scorso 27 aprile al King Abdullah Sports City di Jeddah, in Arabia Saudita, è andata in scena la più grande Royal Rumble di sempre, evento che la WWE ha messo in scena per soddisfare l’insaziabile fame di Star Power degli arabi. Un evento che ha fatto storcere il naso a molti, perché ha intaccato, secondo il coro di voci levatosi in tutto il Business, quella che è la vera essenza storica della Royal Rumble, qualcosa che nasce e muore nell’arco di poche ore una sola volta all’anno.

 

Non posso biasimare questi fan, ma devo dire che io la vedo meno grave di loro, e prendo questo Show come quello che è: un House Show, semplicemente trasmesso in TV a causa dell’avvento del WWE Network. Non è la prima volta infatti, che uno spettacolo WWE va in scena riproponendo ciò che succede durante la storica rissa reale. All’epoca, certo, non c’era il Network e quindi lo Show passò in sordina, ma ci fu, e fu a una settimana circa da quella che sarebbe stata la vera Royal Rumble.

Era il 17 gennaio del 1994, mancavano soltanto 5 giorni al PPV di inizio anno, ovvero, come preannunciato, la Royal Rumble. La World Wrestling Federation si trovava al Madison Square Garden di New York per un House Show, o Live Event, come vengono chiamati oggi. Vince McMahon decise di dare ai Wrestler una possibilità per affinare le loro doti in una battaglia reale, stabilendo meglio tempi d’entrata, metodi di eliminazione e dettagli vari che durante la trasmissione di un evento Live in PPV, avevano pochissimo margine di errore. Cosi, senza pensarci troppo e avendo tutto il Roster a disposizione, organizzò una vera e propria Royal Rumble a 30 uomini dentro il Garden.

La rissa reale non era l’unica attrazione dell’evento, alcuni Match di contorno furono messi in scena, anche se nessuno di questi poi sarebbe stato riproposto nel PPV vero e proprio. Scott Putski, per esempio, sconfisse “Iron” Mike Sharp, e poco dopo Rick Steiner mise al tappeto le spalle di Ludvig Borga. Il terzo Match vide il campione intercontinentale Razor Ramon difendere la sua cintura con successo, sconfiggendo Jeff Armstrong. Infine, il campione WWF Yokozuna, sconfisse Virgil in pochi minuti.

Ho scritto infine, è vero, ma la fine non era. Ho lasciato l’ultimo Match prima della rissa reale perché a differenza degli altri, è stato un incontro che ha avuto un senso. I campioni di coppia Marty Jannetty e 1-2-3 Kid, il buon vecchio Sean Waltman, difendevano le loro cinture contro Jaques Rougeau e Pierre Oullette, che oggi tutti conoscete come PCO, nella Ring of Honor. La coppia canadese, i Quebecers, sconfisse i campioni e vinse le cinture per la seconda volta.

Il vero Main Event arriva dopo, in quella che è stata l’unica Royal Rumble non trasmessa dalle telecamere e soprattutto l’unica Royal Rumble a 30 uomini fuori dal PPV omonimo fino al 27 aprile del 2018. Il numero uno fu Diesel, lottatore che poi passerà alla World Championship Wrestling e sconvolgerà insieme a Scott Hall il mondo del Pro Wrestling col suo vero nome, Kevin Nash. Il numero due, invece, fu Mo, compagno di coppia di Mabel nei Men on a Mission, Tag Team che a parte un titolo di coppia non arriverà a vincere nella compagnia di Vince McMahon. La Rissa reale fila via tranquilla, entrano Butch dei Bushwhacker, 1-2-3 Kid, Scott, Steiner, “Iron” Mike Sharp, Samu degli Headshrinkers, membro della numerosissima famiglia Anoa’i, Bob Backlund, Jeff Jarrett e Virgil.

Dopo i primi dieci, la rissa reale e ormai ben avviata e calcano il Ring, con il numero 11 e 12, due pezzi grossi dell’epoca: Bam Bam Bigalow e Macho Man Randy Savage. Seguono Adam Bomb e Sr Slaughter. Crush e Mabel sono i numero 15 e 16, mentre i tre successivi sono Jim Powers, Bastion Booger e Luke dei Bushwhackers. Il numero 20 è, come vedremo, un nome molto, molto importante: Owen Hart.

Owen precede di soltanto un numero “The Model” Rick Martel e di due suo fratello Bret, che sconfiggerà qualche mese più tardi nell’Opener di Wrestlemania 10, sconfitta che Bret compenserà poi nel Main Event sconfiggendo Yokozuna e diventando campione della World Wrestling Fededartion. Con il numero 23 entra I.R.S. Mike Rotunda, padre di Bo Dallas e Bray Wyatt, mentre con il numero 24 entra Johnny Polo, uno che nella WWF fa più che altro il Manager, ma che poi diventerà famoso altrove con il nome di Raven.

Il numero 25 è Scott Putski, mentre il numero 26 Fatu, membro degli Headshrinkers  che tutti impareremo a conoscere come Rikishi, il padre degli attuali primi sfidanti ai titoli di coppia di Smackdown, gli Usos. Il 27 è Marty Jannetty e il 28 Bart Gunn, unico rappresentante degli Smoking Gunns, l’assente era Billy.  Con il numero 29 tocca a Shawn Michaels, mentre con il numero 30, ultimo entrante, c’è Doink the Clown, impersonato all’epoca da Rey Licameli, aka Rey Apollo.

La Final Four vide sul Ring Bret Hart, Owen Hart, Shawn Michaels e Fatu. Dopo un’ora e dieci circa di rissa reale, il vincitore è Owen Hart.

Nessun Record fu infranto in questa rissa reale, nessun numero prima del venti è entrato nella Final Four e nessun grande nome a sorpresa si è fatto vivo. Era un House Show, un semplice House Show che ha segnato una pagina molto breve ma storica, perché come già detto, fino al 2018, nessun altra Royal Rumble a trenta uomini o più, è stata messa in scena fuori dal PPV omonimo. Quello che è stato fatto a Jeddah, quindi, non è che un regalo per i fan arabi che tanto bene pagano la WWE e i suoi Show. Non credo che dovremmo vedere la magia della Rumble distrutta, perché comunque, questi non sono che casi separati, cose che non devono, nella maggior parte dei casi, essere tenute in conto.

Direttore di Zona Wrestling. Appassionato di vecchia data, una vita a rincorrere il Pro Wrestling, dal lontano 1990. Studioso della disciplina e della sua storia. Scrive su Zona Wrestling dal 2009, con articoli di ogni genere, storia, Preview, Review, Radio Show, attualità e all'occasione Report e News, dei quali ha fatto incetta nei primi anni su queste pagine. Segue da molti anni Major ed Indy americane e non.