La porta era soltanto socchiusa e i rumori dall’esterno entravano regolari, come ogni giorno. Il rumore dei pesi in lontananza e delle porte che sbattevano davano alla situazione quell’aria di normalità ed abitudine che tranquillizza inconsciamente. Tra una carta e l’altra, Ala Robert Regowski, pensava un po’ ai suoi Match ed un po’ ad i suoi affari fuori dai Ring. Lui per tutti era un personaggio pubblico, un uomo chiamato Ole Anderson, ma dietro le scene, per pochi, era un punto di riferimento dello spogliatoio, un direttore, uno scrittore, un Booker insomma.

Fra quei pochi c’era un ragazzo, del quale non si conosce né identità né aspetto, che in quei giorni stava vivendo un dramma sempre troppo pesante per mantenere la perfetta stabilità: la morte della persona che lo aveva cresciuto, non è chiaro se si trattasse di sua madre o di sua nonna, ma il ruolo senza ombra di dubbio era quello della prima. E’ chiaro, la morte della mamma è sempre una cosa brutta, l’abbandono definitivo dei rigurgiti di un’infanzia che non ci lascia mai fino in fondo, fino a quel momento. La perdita di un punto focale dal quale si è sempre visto il mondo e che quando ci abbandona lascia un vuoto che non sarà mai davvero colmato. La vita è questa, e nelle vita si devono affrontare momenti terribili, mettendoli a confronto, purtroppo, con la quotidianità, con gli altri affetti, gli altri rapporti, con il lavoro.

Il lavoro di quel ragazzo era quello del lottatore professionista, per la Georgia Championship Wrestling, qualche volta, proprio grazie ad Ole Anderson, anche per la Jim Crocket Promotion, compagnie delle quali il vecchio Ole era il Booker. Dovette quindi suo malgrado, mettersi di fronte al suo dramma e rapportarlo al suo lavoro, fatto di viaggi, impegni, nottate fuori, assenze da casa ecc. Prese quindi una decisione: voleva mantenere il suo lavoro ma doveva fermarsi per un po’. Sembrerebbe una cosa normale, una cosa umana e civile, ma qualcosa diceva a quel ragazzo che non sarebbe stato cosi facile ottenere un risultato positivo per la sua situazione e quindi, prese delle precauzioni prima di buttarsi dentro all’ufficio di quello che in quel momento, era il suo capo e, per una testa tempestata di sentimenti contrastanti, forse anche il suo nemico.

Aprì la porta socchiusa che lasciava passare i normali rumori di ogni giorno dopo aver toccato senza troppa convinzione la porta con la nocca del dito medio. Dopo aver bussato salutò Anderson e con gli occhi agghiacciati di chi sta vivendo una disgrazia tanto naturale quanto atroce, cominciò a spiegare la sua situazione. Dall’altra parte della scrivania Anderson si alzò in piedi, guardò il ragazzo e rispose con delle parole logiche, distaccate e mascherate con un velo di dispiacere falso: “..cosa pensi ragazzo, che prendendoti una pausa dal tuo lavoro tornerà dal mondo dei morti..?”.

Parole sacrosante, scientificamente inattaccabili, ma moralmente impronunciabili.

Il giovane di fronte a lui in quel momento cambiò il suo sguardo. La desolazione di un dolore pungente lasciò il posto allo sfogo rabbioso di una bestia ferita, pronta a difendere ciò che ha, in quel preciso momento quasi niente, annebbiato dai fumi di una sensazione che sembra ti lasci in mutande in mezzo ad una strada. Si abbassò verso la sua borsa che all’entrare nella stanza aveva appoggiato a terra ed estrasse una pistola. Eccola qua, la sua precauzione. Aveva sentito dentro di se che avrebbe potuto ottenere qualcosa soltanto con la forza, che fosse la forza della disperazione non aveva importanza.

Sognava di fare il Wrestler e ci era riuscito, ma mai avrebbe immaginato di dover perdere uno dei suoi affetti più cari cosi presto. Non poteva immaginare quel frullato di emozioni, dal dolore per la perdita, al dolore per quello che avrebbe potuto perdere ancora, il sogno di una vita. Adesso davanti a se c’era un uomo che non soffriva, che non rischiava di non vivere il suo sogno, che era il capo, che era tutto, contro il niente.

Ole Anderson gli diede le spalle ed uscì dalla stanza, non rendendosi nemmeno conto che alle sue spalle quel ragazzo gli stava puntando una pistola alla nuca. Senza dire nulla, senza fare una mossa. Fortunatamente quel giorno, il colpo non venne esploso, Ole Anderson uscì indisturbato dal suo ufficio e qualche minuto dopo lo stesso fece il giovane Wrestler. Furono Stan Hansen e gli altri, qualche ora dopo, a dire al vecchio Ole che il ragazzo l’aveva avuto sotto tiro per qualche secondo. Al saperlo Anderson chiese perché nessuno avesse detto o fatto nulla, Hansen gli rispose con un sorriso tanto sarcastico quanto  macabro: “Volevamo semplicemente vedere se quel ragazzo aveva il fegato per spararti sul serio.”

L’amore può diventare odio. Una giornata qualunque può trasformarsi nell’ultima. Ma una madre, o una nonna che sia, forse, dall’alto del cielo, può fermare una mano e salvare due vite, come stavolta sono state salvate quella del vecchio Ole, e del giovane Wrestler.

 

 

 

 

Direttore di Zona Wrestling. Appassionato di vecchia data, una vita a rincorrere il Pro Wrestling, dal lontano 1990. Studioso della disciplina e della sua storia. Scrive su Zona Wrestling dal 2009, con articoli di ogni genere, storia, Preview, Review, Radio Show, attualità e all'occasione Report e News, dei quali ha fatto incetta nei primi anni su queste pagine. Segue da molti anni Major ed Indy americane e non.