Il codino era ancora bello lungo, la voglia di fare non mancava e soprattutto, davanti a se, stava per materializzarsi la più grande vittoria della sua carriera. Paul Heyman, o Paul E., come tutti lo chiamavano al tempo, era un uomo al limite della schizofrenia. Il più classico esempio di genio e sregolatezza. Il più classico esempio del limite prima della catastrofe, perché di catastrofi lui se ne intendeva, e quella che stava per portare tutti sotto un ponte quando il sole stava per tramontare sull’ultimo anno di penombra, lasciò nelle bocche l’amaro sapore dell’errore madornale.
Il 23 Novembre del 1996 il Wonderland Ballroom di Revere, in Massachussets, era già gremito. Una piccola arena come quella non doveva vendere poi tanti biglietti per riempirsi come un uovo, soprattutto se ad andare in scena c’era la famigerata Extreme Championship Wrestling, croce e delizia delle nuove generazioni di fan, colpiti e attratti dalla piccola grande Promotion e quasi sempre impossibilitati ad assistervi, perché in TV era rara e gli House Show troppo lontani quasi per tutti. Qualcosa stava per cambiare però, Paul E., il genio sregolato, il degenerato ambulante, era riuscito a strappare un contratto per la trasmissione di alcuni dei suoi eventi in PPV.
Dietro le tendine del Wonderland Bellroom le pareti sembravano colare oro a giudicare dagli animi. Il grande capo era circondato dai suoi soldati che pieni di se stessi, come non mai, erano pronti a versare lacrime e sangue per la causa, per la fede. Da un angolo all’altro dello spogliatoio ci si cristallizzava in compagnia del proprio compagno, del proprio avversario, del proprio io. Si calcolava tutto nei minimi dettagli, che ridotto all’animo e alla ragione di quel Backstage, significava ci si organizzava per l’inferno, per vedere schizzare il sangue e scoprire quali nuovi cori, quali nuove urla e quali nuove facce, chi assisteva, avrebbe potuto fare. La vasca dei coccodrilli stava per vuotarsi e la fossa dei leoni stava per riempirsi.
Non era un’occasione speciale, era una sera come tante. Un mattone in più per costruire il grande muro. Un dettaglio in più per cercare di fare la differenza. I soldi e la gloria avrebbero dovuto arrivare, c’erano quasi, ma per ora fra le mura placcate fino al soffitto e le transenne arrugginite, l’unica cosa che c’era era miseria. Una miseria che nel mondo del Professional Wrestling, in quegli ambienti, in quelle città fatte di ghetti e storie difficili, poteva portare gli uomini, che erano eroi soltanto quando apparivano sulla rampa, a preferire fare altro.
Uno dei quegli uomini si chiamava Axl Rotten. Rotten, una delle personalità meno simpatiche, per usare un eufemismo, del mondo del Wrestling, aveva mancato all’evento. Aveva creato un buco che non poteva non essere tappato. Ogni Show era importante. Ogni anello doveva incrociarsi perfettamente con l’altro, perché la collana doveva portare dritti a quel primo evento in PPV, che di li a poco, sicuramente, avrebbe dato una svolta alle vite della tribù.
Paul Heyman decise di lasciare il genio e esplose nella sregolatezza. Non sapeva né come né perché, ma davanti a lui, nel Backstage, si ritrovò un uomo, un ragazzo e un Midget. Tre figure fondamentali di questa storia.
Il ragazzo si chiamava Eric Kulas. L’uomo era suo padre. Il Midget una figura sinistra.
Eric Kulas era grande e grosso, visibilmente in sovrappeso. Non si capì per quale motivo ma era già venuto a conoscenza del fatto che quella sera, Axl Rotten, non avrebbe preso parte all’evento. Non si capì nemmeno perché, qualcuno, aveva deciso di farli passare nel Backstage, ambiente intimo, difficile da oltrepassare prima dell’inizio di un evento, anche se si parla di Promotion piccole, tagliate con la pietra, grezze, in costruzione.
La follia prese il posto della sregolatezza, capitava ogni tanto, e Paul E. decise di credere al fatto che quel ragazzo, cosi insistente e sicuro di se, fosse un Pro Wrestler di 23 anni. Decise anche di credere che, allenatosi in una delle scuole più prestigiose dell’epoca negli Stati Uniti d’America, quella di Killer Kowalski, uno che, per dirne qualcuno, ha cresciuto Triple H, Chyna, Matt Bloom, Eddie Edwards, gli Eliminators e altri, potesse tranquillamente salire sul Ring e combattere. Decise di assumersi la responsabilità di non vedere un documento. Decise di lasciare che quel ragazzo, con nessuna credenziale provata, portasse come controprova della sua veridicità la voce di suo padre e del suo amico Midget, del quale non si saprà mai il nome e che verrà vagamente citato anni dopo durante un processo che a questa vicenda farà riferimento.
Momenti salienti, quelli della vita di un ragazzo di 17 anni che si ritrova sul punto di poter dimostrare a uno dei Promoter in rampa di lancio più importanti della scena indipendente statunitense, che aveva la stoffa per lavorare con lui. Fu cosi che, felice e baldanzoso nella sua tuta da autista, diventò Mass Transit. Per quella sua prima volta, per quel suo passaggio al mondo degli uomini, per quella sua deflorazione spirituale alla loggia degli esseri del Ring, anche lui si cristallizzò con avversari, compagni e col suo io. Concesse senza pensarci un attimo, con spocchia e disinteresse, di farsi aprire la fronte da un signore che si chiamava New Jack, non esattamente il massimo dell’affidabilità chirurgica e tantomeno mentale. New Jack era il compagno di Mustapha Saed, loro erano i Gangstas, due che dal ghetto ci venivano per davvero, ed Eric Kulas e D Von Dudley sarebbero stati i loro avversari.
La cristallizzazione durò poco. Non ci voleva tanto a mettersi d’accordo con i Gangstas, bastava fargli capire che avrebbero potuto strappazarlo per un po’ e il gioco era fatto. D Von Dudley non doveva invece accordarsi su niente, il Match Paul E., sempre guidato non più dal genio, non più dalla sregolatezza, ma dalla follia, lo aveva bookato come uno Squash. Eric Kulas? Si. Ci fidiamo? Si. Facciamo fargli il Job a New Jack? Il pazzo furioso senza sentimento, animo e con lo stomaco adatto a trucidare qualsiasi tipo essere respirante? Si.
Eric Kulas prende finalmente la scena. La sognava da bambino quella sensazione. Anche se il pubblico non sapeva chi fosse né da dove fosse uscito, la reazione ci fu, come normale, come fisiologico in uno Show di quella portata. Tutti, come nelle grandi famiglie, apprezzavano tutti, l’importante era far vedere che si poteva sopravvivere nella giungla del nord-est. Era bello cullarsi in quella situazione e fare il cattivo ragazzo. Si sentiva coccolato e caldo, come se fosse steso su un’amaca mentre lo scirocco si infila fra le sue membra sudate dandogli la sensazione di essere in paradiso, addirittura di esserne il creatore. Addirittura di essere Dio.
Lui però non era Dio. Non aveva nemmeno un salvatore. D Von Dudley per tutta la durata del Match se ne stette fuori a prendere qualche colpo dai Gangstas che ben presto, entrambi, si concentrarono su Kulas. Si concentrarono su quel giovane Pro Wrestler che però Pro Wrestler non era. Si concentrarono su quel ventitreenne che però ventitreenne non era. Si concentrarono nonostante il padre, a pochi secondi dall’inizio, fece gridare, seppur a bassa voce, la punta di pentimento che cominciava a pervadere le sue vene, a fare apparire un po’ di grigio scuro nel suo sangue di genitore.
Con una lama, New Jack, andò troppo a fondo. Può capitare, si, a chi di quelle lame ne ha visto tante. A chi quel dolore lo ha sentito già, in passato. Ma Eric non sapeva. Eric era accecato dalla sensazione di grandezza illusoria che annebbiava la sua mente. Quando il dolore era troppo forte? Quando New Jack si sarebbe fermato? Forse appena tocca il cranio mi lascia qua. Forse è questo il dolore che sentono ogni giorno questi signori. Forse non è cosi facile e morbido come sembra a giudicare dalle poche videocassette che ho visto. Forse ho fatto un errore.
Mentre suo padre gridava dalle sedie, con il Midget che probabilmente si era dato alla macchia ancora prima dell’inizio del Match, o forse chissà, non era mai esistito ed era soltanto il diavoletto che era sceso dalla spalla di Paul E. e si era tramutato in figura mitologica da Backstage, Eric sentì cambiare il vento. Lo scirocco che soffiava attorno e dentro di lui rendendolo Dio, era diventato uno Shamal impetuoso. Fortissimo, bollente. Scottante. Stava creando dei mulinelli che avrebbero potuto anche sollevare tutta l’arena, stava alzando una tempesta di sabbia devastante.
Ma ciò che era devastante era stata quella lama. New Jack toccò punti cruciali e il fatto che il ragazzo non l’avesse fermato immediatamente, non aveva fatto saltare un allarme chiave. Eric Kulas cominciò a perdere fiotti di sangue e Paul Heyman, che intanto aveva deciso di barattare la follia con la paura, cominciò a perdere chili e chili, sottoforma di sudore freddo e probabilmente vomito. Il ragazzo fu immediatamente messo su una barella e portato all’ospedale, mentre Tommy Dreamer imprecava nell’accompagnarlo. Lo rassicurava e imprecava. Imprecava e lo rassicurava. Desistendo dall’opera del buon sammaritano crocerossino, probabilmente l’unico con un po’ di cervello li dentro, non appena vide il dito medio di Mass Transit alzarsi verso il pubblico. Si stava riprendendo quel piccolo figlio di puttana. Aveva perso un litro di sangue, forse più, ma non rinunciava a fare la parte del cattivo ragazzo. Chissà, magari, se davvero avesse studiato con uno dei più grandi allenatori di sempre e avesse aspettato la maggiore età per provare a fare il Pro Wrestler, sarebbe anche diventato uno buono.
Ma non si diventa buoni tappando buchi con le pezze. Paul Heyman quel giorno lo imparò. Si vide sfilare da sotto il naso la possibilità di andare di li a poco in PPV, possibilità fortunatamente ritrovata qualche tempo più avanti, e fece la figura dell’inetto, del Promoter senza scrupoli, cosa che infondo, Paul E., non era. Imparò la lezione Kulas padre, e non sto qui a spiegarvi perché. E naturalmente imparò la lezione Eric. Quell’incidente, che anni dopo porterà in tribunale accusando New Jack, poi assolto, gli fece capire che il Wrestling non è un gioco. Il Wrestling non è una serie di movimenti visti e rivisti, non è qualche graffio. Il Wrestling è un’arte che va appresa, imparata, studiata a fondo. Il Wrestling è roba seria, checché se ne dica.
Purtroppo Eric Kulas morirà alcuni anni dopo, nel 2002, a causa delle complicazioni di un’operazione per l’inserimento di un bypass intestinale. Non realizzerà mai il suo sogno, che in fondo un sogno non era mai stato, forse un capriccio. Un capriccio per il quale fu sul punto di dire addio a questa terra con almeno sei anni di anticipo. Paul Heyman farà quel che farà, questa è una storia diversa, più dolce. Talmente dolce da fargli dimenticare che intorno a lui, da qualche parte, c’è ancora un Midget che ride, mentre scrive la storia di Mass Transit, della ECW e anche la sua.