Il 9 di aprile del 2018, più di due anni fa, ormai, Saraya-Jade Bevis, aka Paige, è salita sul Ring di Raw, a New Orleans,  in Louisiana, per annunciare il suo ritiro dal mondo del Wrestling lottato. Lo ha fatto di fronte a 20.000 persone circa, con altri 3.000.000, sempre circa, che guardavano da casa, il giorno dopo Wrestlemania 34. Tristezza, belle parole, aiuti di vario genere, conforto, messaggi. Chi più ne ha più ne metta. Una sicura futura Hall of Famer e ancora una dipendente della World Wrestling Entertainment. Abbiamo sofferto per Paige, e ci siamo disperati per lei.

Paige però non è stata l’unica, nel corso degli anni e della storia, a dover appendere gli stivaletti al chiodo e abbandonare il Ring. A quei tempi, però, nel 1984, diciamo che le cose non andavano esattamente come sono andate a Paige, e il futuro, che arriva fortunatamente fino ad oggi, è sempre stato più incerto, ingrato e insicuro.

Sto parlando sempre di una donna, perché se oggi fortunatamente gli equilibri si sono stabilizzati, a quei tempi avere un pene o no poteva significare carriera o elemosina, cibo o fame, vita o morte. La donna della quale mi appresto a parlare si chiama Vickie Otis, è nata nel 1962 a Portland, Oregon, e proprio qui, alla corte di Sandy Barr, è diventata una lottatrice. Il mondo, di li a poco, la conoscerà come Princess Victoria.

Una storia che inizia come tante. L’allenamento, gli sforzi, i sacrifici. Un po’ di successo, abbastanza per farti assaporare che cosa potrebbe essere, ma troppo poco per farti vivere con lui. Velvet McIntyre, la sua amica e compagna, vinse con lei i titoli di coppia della NWA, poi riconosciuti anche titoli di coppia WWF. Combatterono addirittura al Madison Square Garden. Tutto sembrava filare lisco e tutto sembrava fosse perfettamente orchestrato dalle mani della sua Promoter, figura amata e odiata, osannata e detestata, che dietro le telecamere era l’ombra di ciò che era davanti alle stesse.

Ma la vita non procede come è scritto nelle nostre teste. La vita procede sola. Sola e senza guardare in faccia a nessuno.

Tutti quegli allenamenti sfiancanti, maleodoranti, incredibilmente lunghi, servivano a qualcosa. Per lo meno servivano a ripetersi che servivano, dandosi la forza per non gettare la spugna, per non abbandonare. Come nella tana delle tigri, anche nella tana delle lady bisognava lavorare duro, arrivare al vomito, rialzarsi e continuare, mentre il maestro ti osservava da bordo Ring, nella sua gonna, nel suo ego. Non si poteva obbiettare, perché lei, il maestro, dall’alto della sua posizione era Dio, e con Dio non si scende a patti, si fa quello che dice.

Certo, in questa fase, Princess Victoria e le sue compagne avrebbero potuto scendere a patti col diavolo, che di Dio è la nemesi, ma non tutte lo fecero, e soprattutto lei, purtroppo, pagò le conseguenze del suo rifiuto. Perché vale davvero la pena vendere la propria anima per un guadagno, un successo? No. Però Princess Victoria non biasimava nemmeno chi lo faceva, perché nella sfortuna più grande, alcune sue compagne, furono costrette a darsi senza chiedere perché proprio loro, ma sapendo che se non l’avessero fatto, sarebbero finite nel dimenticatoio, probabilmente non del Wrestling, ma della società.

In effetti Vicky si sentiva fortunata. Viaggiare, combattere, con quella cintura alla vita e con la sua compagna. Sentiva un po’ di pena per chi era stata più sfortunata, ma alla fine, come tutti, come la natura umana, pensava a se stessa, al suo futuro. Un futuro che però, nel settembre di quel 1984, le cadde addosso come un meteorite.

Durante un Match di coppia insieme alla sua compagna Velvet, una manovra va storta. Un semplice Sunset Flip che proprio lei, Velvet, stava eseguendo, finì col crollare sulla testa di Vicky, rompendole il collo. Il torpore fu immediato. Si rese conto immediatamente di essere quasi finita, si sentì al confine della coscienza, lottando per non far affiorare la follia. Avrebbe voluto alzarsi, saltare, far passare tutto, volare e uccidere quella sensazione semplicemente sgranchendosi le spalle. Ma non fu cosi. Restare piegata su se stessa era l’unica cosa che le veniva bene, e comunque il dolore cominciava a essere lancinante, mentre il calore dell’azione abbandonava il suo corpo.

La carriera di Princess Victoria finisce qui. Finisce subito.

La speranza, dopo anni, è dura a perdersi. Dopo qualche giorno è viva ed enorme. La principessa sembra sentirsi bene, o almeno meglio. Tenta qualche allenamento, qualche manovra. Fa male, ancora parecchio, ma forse diminuisce. Il maestro, il Dio, ha fretta. Le sta col fiato sul collo e la spinge a tornare a lottare. Il denaro che potrebbe perdere è parecchio. Victoria lo sa, ma sa anche che parecchio del denaro che si paga per lei, finisce nelle tasche di Dio, in percentuale molto maggiore del normale, in percentuale imbarazzante. “Servivano a questo tutti quegli allenamenti massacranti? Tutti quegli sforzi che nemmeno Sandy ci faceva fare? Servivano a giustificare tutto quel denaro che finiva nelle tasche del maestro?” E’ cosi. Quella non era una tana delle tigri, secondo Vicky, quella era l’anticamera della schiavitù. Suo malgrado, la principessa, lo capì ancora meglio.

“Non posso lottare” continuava a ripetere. “Non posso”. Il suo collo ormai non conosceva più il tatto. La sua schiena faceva male e le gambe cominciavano a cederle sotto il suo stesso peso, che non era poi tanto. Dio però non mollò, no. Decise, il maestro della tana delle lady, di far valere i suoi diritti, perché Dio ti ha creata, bambina mia, e Dio ti possiede.

A Princess Victoria, venne incorniciata una nuova tela, adesso il quadrato non aveva più le corde, ma le lenzuola. A pagare non era più una compagnia, ma un uomo.

Ma quando sei nata per essere nobile agli occhi del mondo, non puoi scendere a toccare il fondo, cominciando a scavare, non puoi nemmeno per il cibo che ti manca, per quella gloria che non è mai arrivata, nemmeno per un sogno chiamato Wrestling. Vicky si rifiutò con forza, mettendosi contro il suo Dio, che malvagio quanto il diavolo, la mise in un angolo promettendole che mai e poi mai avrebbe più calcato un Ring, mai e poi mai avrebbe avuto un lavoro. Mai e poi mai, avrebbe potuto sistemare quel collo. Mai e poi mai.

Fu cosi che finì la storia da Pro Wrestler di Vicky Otis, la principessa che si ribellò a Dio e finì sola. Nessun discorso, nessun perché, nessun elogio il giorno dopo di Wrestlemania, che di li a pochi mesi sarebbe nata. Victoria rimane sola e chiusa, nelle sue stanze nobili, in un letto a baldacchino sempre più difficile da utilizzare, con i giorni che dipingevano attorno a lei un mondo sempre più lontano dalla normalità, sempre più arduo anche solo da guardare.

Oggi forse non è più una principessa, è una regina, ma il suo trono è una sedia a rotelle gran parte della sua giornata.

I signori con i milioni, quelli che il trono ce l’hanno davvero, dovrebbero ricordarsi di queste persone, che magari non arrivano a farti causa perché ce l’hanno con te o vogliono solo spillarti del denaro, ma perché  hanno davvero bisogno di risorse per andare avanti, andrebbero ricordate, perché quando il mondo, e Dio, le chiusero la porta in faccia, non c’era nessuno ad aiutarle, a offrirle un altro lavoro, a curarle, a piangere per loro. Lavarsi la coscienza pagando decine di percorsi di riabilitazione, evitando brutti articoli sul giornale, non basta. Aprite gli occhi e date ciò che è giusto anche a chi ha messo le spalle al tappeto, nel vero senso della parola, per voi. Princess Victoria è solo una, una che anche se non si chiama Paige, merita onore, perché ha detto di no al diavolo, e anche a Dio.