Tra il 1971 e il 1979, in uno stato povero, sottosviluppato e dimenticato dell’Africa nera, l’Uganda, un uomo di nome Idi Amin, ebbe un brutale controllo sopra la propria popolazione, con una dittatura militare divoratrice, che lo consegnò alla storia come uno degli individui più terribili mai apparsi sulla faccia della terra. Uno dei signori della morte del nostro secolo. La sua storia, come spesso accade e accadeva, si intreccia con il Professional Wrestling degli anni 80. Quando il suo regime era ormai finito da qualche anno e lui vagava impunito, la sua figura ispirò alcuni Promoter, su tutti Jerry Lawler e Jerry Jarrett, che presero un lottatore americano, lo trasformarono in ugandese e scrissero la sua storia. Nacque Kimala, un enorme Wrestler che, finito il regime, abbandonò il suo lavoro di guardia del corpo di Amin per darsi alla lotta. Di li a poco quella “I” divenne una “A”, e Kamala cominciò a farsi spazio fra i Ring di tutto il mondo.

In effetti il mondo lo aveva già girato. Da Senatobia, Mississipi, aveva già viaggiato verso il Canada e verso l’Europa, per fare esperienza e per farsi un nome. Il suo era sempre il ruolo dell’Heel mostruoso, cattivo e senza scrupoli, che si metteva d’innanzi al Face di turno per cercare di destabilizzare la sua leadership e sconfiggerlo con la forza bruta, un po’ come il dittatore ugandese che ispirerà la sua Gimmick.

Ma Kamala, dopo aver calcato i quadrati di molte compagnie indipendenti importanti, diventa davvero famoso quando finisce nella World Wrestling Federation, nel 1984. Freddie Blassie lo “scoprì durante un safari in Africa”, e lo porto in America insieme a Friday, personaggio mascherato che accompagnerà Kamala insieme al Manager nel suo primo Stint. Distrusse chi gli si parò davanti, Kamala, fermandosi in un doppio conteggio fuori soltanto davanti ad Hulk Hogan, in un Match che metteva in palio addirittura il titolo del mondo della WWF.

Tornò dopo poco nel Wrestling indipendente, in Canada  prima e combattendo per un altro titolo del mondo poi, quello della American Wrestling Association. Lo fece diverse volte contro Rick Martel, ma anche stavolta non riuscì a vincere la corona. Nel 1986 tornò alla corte di Vince McMahon. Stavolta il suo Manager sarebbe stato The Wizard, e il suo accompagnatore mascherato Kim Chee.Il suo Feud più importante lo vidi affrontare Jake “The Snake” Roberts, e tirò fuori la sua prima grande debolezza: la paura dei serpenti.

Il fatto che un selvaggio che aveva fatto la guardia del corpo per uno dei più sanguinarti dittatori della storia avesse paura dei serpenti, contribuì ancora una volta a far scemare l’interesse nei suoi confronti e il lottatore di colore lasciò ancora una volta la WWF. Continuò però a formarsi a livello internazionale. Dopo essere tornato nella WCCW dei Von Erichs, andò prima in Giappone e poi in Messico, rispettivamente nella AJPW e nella CMLL. La WWF tornò ad interessarsi a lui dopo qualche anno e nel 1992 venne riassunto.

Nonostante i suoi primi Manager e nonostante in Storyline, il suo contratto venne venduto a Mr Fuji prima di lasciare la compagnia nel 1987, il Manager di Kamala cambiò ancora. Stavolta toccò ad Harvey Wippleman, uno che viene ricordato come il Manager dei perdenti, e l’unica costante rimase il suo accompagnatore “africano”, Kim Chee.  Fu questo il suo periodo più movimentato. Ebbe rivalità con Macho Man Randy Savage, Bret Hart e sopratutto Undertaker, con il quale perse il primo Casket Match della storia ad andare in tv e un altro Match per il quale nacque una controversia contro la WWF. Kamala sosteneva di essere stato pagato quasi 50 volte meno di Undertaker per quell’incontro.

Il suo momento più importante e ricordato però, arriva nel gennaio del 1993. Kamala comincia ad essere bistrattato e bullizzato dai suoi Manager, Harvey Wippleman e Kim Chee. Durante una diatriba sul Ring, mentre il gigante ugandese sembrava perire psicologicamente ai due, Slick, un altro Manager, si fa avanti e lo prende sotto la sua ala protettrice, decidendo di tentare la sua umanizzazione. In parte ci riesce e lo porta in una rivalità a priori importante contro Bam Bam Bigalow, con i due che avrebbero dovuto affrontarsi sul Ring di Wrestlemania 9, a Las Vegas, Nevada. Il Match però fu poi cancellato e nessuno dei due prese parte al’evento.

Da qui in poi la carriera di Kamala rallenta. I tanti anni a lottare si fanno sentire e la sua stazza contribuisce a convincerlo di fermarsi gradualmente. Torna per un piccolo Stint nella World Championship Wrestling, per quello che più che altro è un capriccio di Hulk Hogan, e si fa vedere in diverse Promotion indipendenti che lo ospitano fino a pochi anni fa.

Purtroppo, pochi giorni fa, all’età di 70 anni James Arthur Harris, in arte Kamala, ci ha lasciato. Ha perso un Match che proprio non si aspettava, quello contro il Covid 19. Ha perso perché il suo cuore ha ceduto, ha perso perché infondo non era cattivo, né spietato. Ha perso perché non aveva mai ucciso nessuno, non era mai stato il bodyguard di un sanguinario dittatore. Ha perso perché dentro era una persona normale, con sentimenti contrastanti, insicurezze e debolezze, e tra queste la paura dei serpenti non c’era. C’era la paura di non riuscire ad arrivare, che ti rimane attaccata alla pelle come la resina all’albero, quando nasci in uno stato del Mid South e sei afroamericano. Se n’è andato però, Kamala, consapevole che infondo c’era riuscito, seppur stereotipando qualcosa di terribile, il suo lavoro gli aveva fatto vivere una bella vita.

Ora è nell’olimpo, con il suo primo Manager, Percy Pringle, e con il suo ultimo Manager, Slick, due uomini buoni che avevano cercato di renderlo umano, migliore. Sta li, sdraiato fra i serpenti di nuovo con le sue gambe, e va alla continua ricerca di Idi Amin, perché vuole provare a umanizzare anche lui, consapevole che almeno dopo la morte, una possibilità di redenzione c’è per tutti. Kamala non deve redimersi, non deve chiedere scusa per niente, ma vuole portare avanti un Character, come ha fatto in vita, quando il sangue cattivo scorreva nelle vene del suo personaggio. Adesso il suo personaggio è grande, grosso e benevolo, non è più un bodyguard e ci guarda tutti dall’alto.