Nel mondo della lotta professionistica, che si parli di Wrestling, di Box, di MMA o di qualsiasi cosa, le categorie sono sempre state una componente importante quando si parla di titoli. Titoli del mondo, titoli nazionali, titoli dei pesi massimi, medi, leggeri. Nel mondo del Wrestling poi, decine e decine di titoli sono sempre nate e morte. Titoli di coppia, titoli di coppia dei pesi leggeri, titoli trios, titoli internazionali, nazionali, locali, pesi massimi, pesi leggeri di coppia, e la lista sarebbe infinitamente lunga.
Ce n’è uno però, nato negli Stati Uniti in un’epoca dove evidentemente non si poteva fare altrimenti, che a sentirne parlare oggi lascia di stucco, forse, e ci proietta in un tempo che fa capire come oggi, i tanti discorsi sui retaggi del passato, non siano solo dicerie, ma mentalità intrinseche in certi cervelli e in certi modi di fare.
Fa quasi schifo dirlo, fa quasi schifo parlarne, ma secondo me può essere un modo per far ragionare su quanto vicini siamo a quel tempo, dal quale non è passato nemmeno un secolo, in cui nacque la categoria di Wrestling più stupida, discriminante e dimenticata, per fortuna, di sempre: il World Negro Championship Wrestling.
Era il 1924. Un tempo talmente complicato per gli afroamericani in America, soprattutto negli Stati Uniti, che inserirsi nella società era difficile quanto esserne schiavi. Da ciò che si sa, il titolo viene ricordato per la prima volta a Minneapolis, in Minnesota, il 13 Gennaio del 1924, appunto. Il campione era Reginald Siki.
Le notizie, scarse e sparse, ritrovano la cintura difesa a Bruxelles, in Belgio, George Godfrey era detentore. Nel 1936 invece, si fa chiarezza su chi riconosce il titolo, ovvero la National Wrestling Association, nella quale il campione è Jack Nelson. Siamo nel 1936 a Salt Lake City, Utah.
La cintura avrà vita fino al 1967, quando per l’ultima volta viene avvistata il 9 Luglio a Orlando, in Florida, il campione era Art Thomas. Ma nel corso degli anni è passata nelle mani di Wrestler come Jack Claybourne, Luther Lindsay o Bobo Brazil. Un titolo che per più di cinquant’anni ha girato per gli Stati Uniti d’America e non solo, dando la gloria, secondo la stupida credenza dell’epoca, a coloro che, inferiori, non potevano fregiarsi di un vero titolo del mondo.
Il discorso però, diventa ancora più intricato e riprovevole, se si pensa che tutto questo divenne un’abitudine. Il World Negro Heavyweight Title, infatti, non visse solo in un’incarnazione, ma da quello che si dice e si può sapere oggi, in ben quattro versioni differenti. Quello di cui abbiamo parlato non è che la prima cintura, le altre, principalmente indicate come corone promosse in alti territori, sono nate successivamente in Iowa, Kentucky e Texas.
Si conoscono due campioni che per ventidue anni hanno portato avanti i regni da World Negro Heavyweight Champion nella versione dell’Iowa, sono Alex “Black Panther” Keffner e Ras Samara, già campione anche della primissima cintura. La vita della corona, almeno quella conosciuta, sarebbe iniziata nel 1933 e finita nel 1955.
Louisville invece è stata la principale città che ha messo in scena la versione del Kentucky. Per quattro anni, dal 1938 al 1942, la cintura è stata alla vita di Rufus Jones, campione inaugurale, Jack Claybourne, Ras Samara, per ben tre volte, e King Kong Clayton, aka Jack Nelson.
Dal 1949 al 1962, invece, è stata attiva la quarta e fortunatamente ultima versione del World Negro Heavyweight Title, che Jim Mitchell, Don Blackman, Woody Strode, Jack Claybourne, Luther Lindsay, Dory Dixon e Art Thomas hanno portato alla vita per tredici anni scambiandosela diverse volte.
Mi piacerebbe che tutto questo fosse uno scherzo, ma non lo è. Molto meno di un secolo fa, ripeto, in giro per i circuiti indipendenti, alcuni importanti come la National Wrestling Association, nacque questa follia, diramatasi poi in quattro differenti rami, che distingueva gli uomini bianchi da quelli neri. Un modo per attribuire una distinzione a un ceto sociale considerato invalicabile, esistente per un’idea di “inintrecciabilità” di razze, che inevitabilmente ha lasciato una scia anche ai giorni nostri.
Per questo, oggi, non abbiamo ancora un campione WWE afroamericano? Non lo so, francamente ho i miei dubbi, ma sicuramente se queste differenze razziali non fossero esistite, dal 1963 al 2000, qualcuno avrebbe dovuto fregiarsi del vero titolo del mondo della compagnia più importante, cosa che invece non è mai successa. Uomini come Mark Henry e Booker T hanno dimostrato che i tempi sono cambiati, diventando campioni del mondo dei pesi massimi, ma sono arrivati dopo un giro di boa, quello degli anni 2000, che non poteva non cancellare certe differenze.
Apripista di tutto ciò fu la World Championship Wrestling, direte voi, che nel 1992 diede il proprio titolo assoluto a Ron Simmons. Non è proprio cosi, anzi, probabilmente è il contrario, dato che quella cintura fu assegnata al buon Simmons proprio perché l’Head Booker dell’epoca, Bill Watts, fu accusato di razzismo. Insomma un modo per scaricare accuse e coscienza.
Voglio credere che oggi tutto questo sia completamente cancellato dalle menti dei signori che comandano il Business e che il non vedere quasi mai un campione assoluto afroamericano, per lo meno nella WWE, sia soltanto una coincidenza, della quale al momento non ci sono prove oggettive, e in molti casi nemmeno soggettive, con le quali metterla in dubbio. Quello che è certo è che c’è stato un tempo nel quale la mente umana e la società esterna hanno condizionato l’ambiente di un affare che dovrebbe regalare sogni, sport e spettacolo, e che invece come nella più triste delle realtà, ha creato differenze becere, retrograde e maligne.