Questo è un argomento che avevo in mente di trattare da qualche tempo, vi avverto che sarà una noia mortale, almeno se non avete interesse a ragionare sull’industria in generale. Superata una certa età è inevitabile, sapete? Qualcosa che ti appassiona, un passatempo, un hobby, arriva sempre inevitabilmente a un punto di svolta con due strade, o lo molli perché ti annoia e non trovi mai tempo oppure fai il passo successivo e inizi ad approfondire, studiare, capire come funziona veramente. Il prodotto televisivo è tanto importante e allo stesso tempo rappresenta solo la punta dell’iceberg di un sistema.
Il wrestling ha sempre utilizzato i media per diffondersi e crescere, i giornali e la radio, poi l’intuizione negli anni Settanta della televisione. Il wrestling si presta alla grandissima per la tv, che poi negli anni è stata affinata, a partire dai promo su fondo azzurro di Dusty Rhodes, fino ai test della scorsa Wrestlemania di show da vedere con il visore della realtà virtuale.


Una disciplina che ha attraversato ormai diverse generazioni ed ognuna di essa aveva le proprie ragioni per seguire le gesta dei propri beniamini attraverso i vari media che ci hanno accompagnato fino alle piattaforme di streaming delle singole compagnie odierne. Il wrestling nasce in un preciso contesto storico e culturale e prima che Vince McMahon lo “ripulisse”, era qualcosa che potevano fruire solamente i bambini e una fascia di popolazione che veniva snobbata dai grandi network. La WWF di inizio anni Ottanta ha reso il wrestling un fenomeno “Pop”, nel senso più warholiano del termine.


E il minimo comune denominatore tra l’inizio della storia del wrestling e, diciamo, la metà del precedente decennio, non sono i performer, che cambiano in continuazione, non sono i match memorabili, perché quelli servono ma solamente fan già educati, ma il realismo. E non fraintendete, non intendo il realismo stile UFC o quello a cui tende il puroresu sin da sempre, ma il percepire i lottatori come qualcosa di vero. Le gimmick avevano senso di esistere perché definivano immediatamente un personaggio, i cattivi avevano bisogno delle stable perché il cattivo deve essere vigliacco e il face eroico, in questa dinamica pre-social, gli show erano molto seguiti e in generale funzionavano. Io credo non perché la WWF e la WCW proponessero match a cinque stelle, ma perché riuscivano a non scindere gimmick da vita reale.
I social hanno cambiato tutto, hanno reso necessarie le figure dei social media manager per gestire i profili dei lottatori, da un lato un grandissimo potenziale, dall’altro un gigantesco rischio. Avere per le mani un miliardo di follower, su una platea che al mondo conta 3,48 miliardi di persone che usano i social, significa avere il potenziale contatto di circa un terzo di questa popolazione.


E questa popolazione, composta da noi e da moltissimi altri fan casuali, è molto giovane e decisamente attiva. Annunciare sui social un match prima di un ppv, in una certa maniera, si traduce nella possibilità di avere accesso immediato a questo gigantesco bacino di persone.
E chi sono queste persone? Siamo noi, che siamo nell’epoca in cui è impossibile guardare e basta. Guadiamo gli show, di wrestling, una serie tv, un film e abbiamo l’impellente bisogno di esprimere la nostra opinione, senza che nessuno ce lo chieda e poi di interagire con altre persone che la pensano tendenzialmente come noi, con poca pazienza verso chi non è sulla nostra frequenza. E ogni mattina dopo uno show, ci riversiamo sui social e su questo sito a semplificare cose complesse e a dire come la WWE dovrebbe portare avanti le proprie storyline.


Ma il paradosso dei social e di siti come questo, ovvero dare la libertà di esprimere idee a tutti, non permette alcun filtro qualitativo. Chi oggi in Italia, in Europa e nel mondo è davvero una voce autorevole per parlare di wrestling? C’è ormai una coscienza collettiva che muove opinioni e idee, che non ha una “testa” in maniera chiara. Questo crea confusione e il prodotto ne risente, soprattutto nel momento della fruizione, da quando esistono i social gli show di wrestling vengono vissuti in un’altra maniera e in cuor mio qualcosa è talmente cambiato da rompere quella magia del passato.
Ma le epoche cambiano, questa è la Social Kayfabe Era, dove tutto è il contrario di tutto, dove Baron Corbin può interagire da cattivo sui social e postare una foto su Instagram come Thomas Pestick. Ciò che era il passato è stato distrutto.


Spesso mi chiedo di chi sia la “colpa”, chi ha distrutto questo magico mondo. Di una cosa sono certo, non i fan, che sono stati travolti dai social e che per anni sono stati lasciati alla deriva senza un utilizzo sapiente delle compagnie. I lottatori sono stati lasciati soli per troppo tempo a gestire i rapporti sui social e spesso incapaci di capire cosa i fan volessero. 
La brutale verità è che il fan di wrestling si interessa al wrestling per una ragione molto semplice: tutti vorremmo fare parte di questo mondo, a vario titolo e ognuno con i propri sogni e i social media sono la lampada di Aladino dei tempi moderni, qualcosa che avvicina in maniera incredibile a questo miraggio. Guardate gli Young Bucks come hanno saputo gestire i social per fare montagne di soldi.


La verità è che siamo ancora indietro sulla gestione dei social media da parte della WWE, che li sta gestendo in maniera difensiva, andare all’attacco di nuove fette di mercato, quello sarebbe il passo necessario per entrare e riprendere il discorso del promo dietro al fondale azzurro di Dusty Rhodes e un ritorno al realismo e alla magia. È tutto troppo a portata di mano ed è una rovina.