Nacque l’11 giugno del 1959, a Chesapeake, in Virginia. Nacque esattamente 62 anni orsono. Crebbe in fretta, senza troppi patemi o problemi e si diede al mondo del Professional Wrestling all’età di 19 anni. Lo fece entrando dalla porta principale dopo un breve periodo di allenamento. Lo fece varcando la porta della National Wrestling Alliance. Si chiamava Terry Wayne Allen, ma tutto il mondo, ben presto, lo avrebbe conosciuto come Magnum. Magnum T.A.

E’ sempre bello e importante parlare dei grandi lottatori che hanno fatto la storia della nostra disciplina preferita, ma come ormai ben sapete, a me piace soprattutto ricordare tutti, soprattutto quelli che, per sfortuna, sbagli o semplicemente per il caso, non hanno potuto offrire ciò che avrebbero voluto, pur mettendosi in gioco e intraprendendo la loro personalissima autodistruzione.

Terry Wayne Allen, Terry Allen per il giro del Pro Wrestling dell’epoca, aveva talento da vendere, abilità che pochi nascondevano dietro le loro tenute da Ring, e una gran voglia di fare bene. E lo stava facendo. Prima ancora di entrare nella NWA trovò un nome giusto, a suo dire, un nome che, su consiglio di André, del quale ogni giorno sento parlare meglio e per il quale nutro un sentimento di rispetto ormai non tanto come Wrestler, quanto come conoscitore profondo della disciplina, mise le sue iniziali dietro a “Magnum”, una parola che all’epoca stava spopolando nelle televisioni di tutto il mondo. “Gli somigli” gli disse, “fai qualcosa che lo richiami, e che tiri l’attenzione su di te, ma con le tue iniziali”. Nacque Magnum T.A. e nacque uno dei lottatori più futuribili degli anni 80.

I successi non tardarono ad arrivare. In pochi anni vinse diverse volte il titolo degli Stati Uniti, scambiandoselo oggi con Tully Blanchard domani con Nikita Koloff. Il suo Status non faceva che crescere e il suo CV era sempre più pieno di trofei. Anche il suo telefono cominciava ad essere caldo. I Promoter territoriali facevano a gara per averlo nei loro Show, ma la Jim Crockett Promotion prima e la National Wrestling Alliance poi cercavano sempre di averlo nelle competizioni più importanti, con quelli come Ric Flair, come Ricky Steambot.

Anche Vince McMahon cominciava a farci un pensierino, anche in Giappone, anche in Messico. Ovunque, il nome di Magnum T.A., cominciava ad essere accostato a quello di mostri sacri, nella mente degli addetti ai lavori era pronto ad allinearsi a gente come Hulk Hogan, come il già nominato Ric Flair, come il suo amico André.

Il prossimo passo, appena trovato il giusto sostituto per cedere la cintura di campione degli Stati Uniti, non avrebbe non potuto essere quello, il traguardo massimo, la cintura più importante del mondo, il titolo principale, il motivo per il quale, nel 1978, decise di buttarsi nella giungla del dolore. Tutto andava bene, tutto era perfetto.

Purtroppo però, come l’anello del potere, anche il suo Porsche aveva una propria volontà. Sembra quasi uno scherzo, e non si arriva a capire. La macchina forse andava un po’ troppo veloce, è vero, ma quante macchine vanno veloci sotto la pioggia? Alla maggior parte non succede nulla, mentre alla sua.. E allora dove sta l’errore di chi progetta le nostre vite? Perché c’è stato, proprio in quel momento, quel tragico “finale”, che si, avrebbe potuto essere peggiore, ma che sicuramente non è stato bello?

L’errore è stato forse su quella strada? La storia era scritta ma in quel punto, l’inchiostro, ha sbavato, non si leggeva bene e con l’inchiostro ha sbavato anche una gomma, forse due. Un errore che ha portato quella macchina a sovrapporsi sugli ostacoli della vita, proprio come quella sbavatura d’inchiostro era finita di traverso sulla parola accanto.

Oppure l’errore è stato tutto il resto. Forse, il “Booker” della nostra vita, è proprio come i Booker che si dilettano a scrivere le Storyline con le quale Magnum sarebbe diventato una leggenda. Ha scritto tutto, perfettamente, e poi ha deciso di non puntare più su di lui. Il suo però non è stato un Depush, il suo è stato un vero e proprio taglio.

Magnum T.A., Terry Wayne Allen, vede la strada impazzire mentre la sua fuori serie viaggia a molti, troppi kilometri all’ora. Un Porsche è uguale a una 500, vecchia e con il cofano aperto per arieggiare il motore, quando c’è una sbavatura. Un colpo secco, nella testa di Terry, risultante di una serie di giravolte inverosimili e rinchiuse istantaneamente in un pacchetto di emozioni. Poi il buio. Due lunghissime ore, prima del soccorso, prima del primo, prima di una voce d’aiuto.

Rimane paralizzato per metà, lo fa per un sacco di tempo. I medici gli dicono francamente e freddamente, come sempre in questi casi, come è giusto che sia, che probabilmente non riuscirà mai più a muovere quella parte immobile, che ormai è come l’ombra del resto, sempre con te ma sconosciuta, entità che può solo darti una glaciale e silenziosa compagnia.

Comincia in quel momento il Match più difficile della vita di Magnum, comincia li, su un letto di ospedale, soffrendo per il dolore fisico e per il dolore che gli da il pensiero di quello che sarebbe potuto essere, diventare. Non diventerà mai campione del mondo, non sarà mai affiancato a Ric Flair, a Hulk Hogan o ad André. Sarà un nome in più sulle liste degli appassionati, che diranno di conoscerlo per sentito dire, la maggior parte, avranno visto qualche suo Match, altri, e sapranno chi era e cosa sarebbe potuto diventare, pochi.

Magnum è per me ciò che sono tutti, vittime del mio sollazzo e della loro ricchezza. Degni di rispetto come coloro che di titoli del mondo ne hanno sollevato 20, o 16 se vogliamo attenerci a chi scrive la storia, cioè i vincenti. Magnum è uno che ha dovuto dire addio al Ring, all’odore del sudore del’avversario, alla palestra tre strade più in la, ai tour e a tutto. Soprattutto al pubblico. Quelle urla le sentirà ancora, ma non saranno per lui, saranno per quelli che come lui stanno per farcela e per i quali, una penna d’oca ha scritto senza sbavature, per i quali i “Booker” non si sono stufati, per coloro ai quali la vita non ha deciso di tagliare le ali, lasciandoli soli, sotto la piaggia, chiusi in una costosa scatola di metallo, in mezzo a una strada.