Tempi duri gli anni ottanta per un giovane Pro Wrestler. Tempi nei quali la difficoltà di emergere dopo il grande boom della Rock ‘n’ Wrestling Connection e le difficoltà di emergere per un calo dell’interesse si incrociavano, rendendo la scalata verso il successo una cosa molto, molto difficile. Che dire poi, se non solo eri giovane, inesperto e non poi cosi talentuoso, ma anche il figlio della più grande leggenda che avesse mai messo piede su un Ring di Wrestling? Le cose peggioravano. I paragoni si sprecavano, l’aiuto ad entrare dalla porta principale ti tornava indietro raddoppiato sotto forma di rigetto, quando non dimostravi di avere la stoffa del tuo vecchio. Un vero inferno.
Nonostante tutto ci provò, David Sammartino, figlio del migliore, del più grande. Figlio di Bruno. Ci provò allenandosi duramente e contro l’iniziale parere contrario di suo padre. Bruno infatti, non voleva che suo figlio passasse attraverso i momenti difficilissimi da lui vissuti nel mondo del Wrestling, e per questo avrebbe preferito che studiasse in un college mediamente importante e intraprendesse una carriera completamente differente da quella del Pro Wrestler.
Le glorie conosciute da suo padre però, spinsero David e fare di tutto per entrare in quel mondo e dopo diversi anni di allenamento, riuscì ad intraprendere una carriera indipendente partendo da un nome molto conosciuto, ai fan e soprattutto a suo padre: Larry Zbyszko. La loro faida nel circuito indipendente fece si che David Sammartino si facesse un nome, più che per le sue capacità per la sua famiglia. In tantissimi infatti, fan e non solo, erano curiosi di vedere che cosa ci fosse dietro a quel cognome, che per decenni era stato sinonimo di grandezza, eccellenza e professionalità. Qualcuno si avvicinò a guardare, qualcuno di importante.
Vince McMahon Jr, a pochi mesi dalla morte di suo padre, lo assunse, sperando di poter ricreare quel binomio McMahon-Sammartino che per tanti anni aveva fatto la fortuna della World Wrestling Federation. Per non sapere né leggere né scrivere, il giovane Vince Jr lo assume convincendo anche suo padre a tornare sul quadrato e a formare una coppia che sarebbe servita per passare un testimone tanto pesante quanto caldo. Il Push fu immediato, e non solo in coppia. Contro i due finirono soprattutto Brutus Beefcake e Johnny Valiant, con i quali misero insieme Match di coppia e incroci singoli.
Il tanto sperato successo però, non arrivò. Non servì la fiducia di Vince McMahon, il binomio di successo, e nemmeno Bruno. Come una metafora del destino, David lasciò la WWF dopo aver fatto un pesante errore, di quelli che il padre era sempre riuscito ad evitare: perse contro un Jobber, Ron Shaw, che David avrebbe dovuto sconfiggere. Non riuscì nemmeno contro un lottatore piccolo, sconosciuto e destinato a perdere, a far valere quella legge che suo padre dominava contro nomi leggendari come Buddy Rogers.
David finì nel circuito indipendente per alcuni anni, dove, fra alti e bassi, riuscì a guadagnarsi il pane ma non a guadagnare il successo sperato. Ciò che attirava i Promoter era il suo nome. Ciò che attirava i fan anche, ma soltanto per una volta.
La vita però può sempre riservare delle sorprese e David viene chiamato ancora una volta da Vince McMahon, nel 1986, quando stava lavorando per la American Wrestling Association di Verne Gagne, Major nella quale Sammartino ebbe ben tre opportunità titolate contro Stan Hansen, nessuna delle tre sfruttata con successo. Il suo secondo Stint nella World Wrestling Federation non cominciò male, anche stavolta il suo nome lo precedette e una sorta di Push iniziale arrivò anche stavolta. Ma come successe già qualche anno prima, nessuno, una volta vistolo sul Ring, impazziva dalla voglia di spendere del denaro per lui. Cosi andò avanti per due anni, trascinando un talento non ereditato e cercando di dimostrare qualcosa. Andò male insomma, e la fine della sua collaborazione con la WWF andò ancora peggio.
L’House Show in questione si tenne nello stato di New York, in una città non ben precisata. Dopo il suo Match e dopo lo Show, David si trovò in mezzo a un gruppo di fan. Qualcuno chiedeva autografi, altri strette di mano, altri facevano complimenti, durissimi, per suo padre. Uno però, un certo Martin Gallagher, ebbe la brillante idea di insultare e sputare David. In cambio, il Wrestler di seconda generazione, lo colpì diverse volte al volto, prima con alcuni schiaffi e poi con un calcio quando il fan era a terra.
David fu arrestato e successivamente rilasciato su cauzione, ma la WWF non poté fare altro che licenziarlo e chiedere scusa. Il fan, dal canto suo, dichiarò che gli sembrava esagerato il licenziamento e che comunque la WWF non si sarebbe salvata dalla sua denuncia, che portò a un giudizio che lui vinse, potendosi ripagare spese mediche e danni morali.
Il resto della carriera di David Sammartino fu un sopravvivere. Le paure di suo padre vennero di nuovo a galla. Non solo suo figlio stava provando la durezza del mondo del Professional Wrestling, ma nel farlo, non stava nemmeno godendo delle gioie che, per lo meno, aveva avuto lui. Tra compagnie indipendenti e Stint inutili nella WCW o nella AJPW, David andò avanti con gli “entra ed esci” dal ritiro, fino a che non decise, seppur senza mai annunciarlo ufficialmente, di ritirarsi sul serio.
Una storia in parte triste, in parte dura. Una storia che però insegna. Insegna che quando vediamo sugli schermi un lottatore che ha un cognome pesante, un figlio d’arte, un parente, non possiamo giudicarlo solo per questo. Non possiamo chiamarlo raccomandato, che si chiami Randy Orton, Roman Reigns o Charlotte Flair. Perché loro il talento ce l’hanno, e il motivo del loro successo non è il loro padre, il loro fratello o il loro “cugino”, il motivo sono in fondo loro. Perché per ogni Roman Reigns c’è stato un Umaga. Per ogni Charlotte c’è un Curtis Axel. Per ogni Randy c’è un Bo Dallas.
Ci diamo degli stupidi da soli quando pensiamo di non poter dire la nostra. In fondo il mondo del Wrestling e i propri fan sono un’unica entità in tutto il mondo, e alla fine, la grande massa, decide per i Wrestler e anche per i Promoter. E questo è sicuro, se non ce l’ha fatta nemmeno il figlio della più grande leggenda che abbia mai aperto i nostri cuori e ci abbia fatto sentire orgogliosi di essere innamorati di questa bestia strana, di questo sport-spettacolo, chiamato Wrestling.