Se n’è parlato tanto negli ultimi tempi, da quando Dark Side of the Ring ha riportato in vita una delle pagine più controverse della storia del Professional Wrestling. Di quel giorno nel quale un lottatore professionista ha colpito con due schiaffi, ben dati, un giornalista che gli faceva domande faziose con l’intento di smascherare la “falsità” del lavoro che portava avanti. Di quel giorno che, sempre quel giornalista, ebbe una lunga chiacchierata con un altro lottatore professionista che non lo prese a schiaffi, ma gli rivelò, invece, tutti i segreti della sua disciplina, svelando i trucchi del mago, aprendo una ferita che non tarderà a rimarginarsi, ma che fece male perché lacerava la pelle per la prima volta, come sul ginocchio di un bambino, su una superficie morbida e ancora delicata. Quel giorno molte persone smisero di sorridere, altre cominciarono a ridere e qualcuna, purtroppo, si mise a piangere.

La parola chiave di questa storia, ha la parola chiave dentro se stessa, anzi, ha la parola “Key”, anche se scritta in un altro modo: Kayfabe. Da qui nasce tutto, da sette semplice lettere che significavano da una parte, per qualcuno, la chiave dell’inganno, dall’altra parte, per qualcun altro, il mattone che reggeva un castello, un mattone senza il quale, tutto, avrebbe potuto venir giù.

Il primo nome importante di questa storia è quello di Eddy Mansfield. Era un Wrestler, Eddy, francamente talentuoso, forse troppo. Uno che sapeva il fatto suo, che aveva capito come dare filo da torcere al pubblico, agli avversari, ai Promoter. Con una parlantina sciolta e un Look adeguato, stava ritagliandosi uno spazio importante, troppo, ancora una volta, per coloro che quello spazio se lo erano guadagnato col lavoro si, ma con tante amicizie anche. Inoltre non gli piaceva essere controllato, diretto, riteneva che un Wrestler dovesse avere libertà e non essere alla catena dei Promoter e dei Booker. Eddy fu messo sempre di più in una posizione difficile, e poi, dall’oggi al domani, tagliato, buttato, accantonato. La schiera dei Promoter che lo facevano lavorare non lo chiamarono più. Come lui stesso ha detto più volte: “Io non ho abbandonato il Wrestling, è il Wrestling che ha abbandonato me”.

Eddy, arrabbiato, incattivito e deciso più che mai a farla pagare ad una disciplina che gli aveva fatto sentire il profumo delle rose per poi scaraventarlo nel letame, chiamo il secondo protagonista di questa storia. Chiamò un giornalista. Il suo nome era John Stossel. Un giornalista bravo, Stossel. Uno che nel corso della sua carriera ha vinto un sacco di premi e portato avanti inchieste che hanno messo in piedi polveroni, controversie, inchieste difficili. Uno che, alla fine, arrivò anche ad occuparsi di Pro Wrestling senza peli sulla lingua, e magari qualcuno, visto che non parlavamo di fame nel mondo, avrebbe fatto bene ad averlo.

E’ vero, senza nessuna ombra di dubbio, che i segreti del Wrestling erano destinati a venire a galla. E’ anche vero però, che un accanimento giornalistico di quella portata nei confronti di quello che in fondo era qualcosa di innocuo, almeno sotto il punto di vista dell’inchiesta di Stossel, forse era esagerato.

Sta di fatto che John Stossel, per il programma 20/20, intervista Eddy Mansfield. Un’intervista fatta a bordo e sul Ring. Un’intervista nella quale il lottatore spiega ogni segreto della disciplina, avvelenato e irritato, al giornalista. Come atterrare su un avversario, come colpirlo, come lanciarlo. Tutto. Un tutto che non finisce col Wrestling puro, ma che va più avanti, va verso la mancanza di rispetto ai mostri sacri che, letteralmente, avevano dato fino a quel momento il sangue per uno sport spettacolo che piegava le vite all’epoca e oggi. Eddy spiegò ciò che Darren Aronofsky spiegherà quasi 25 anni dopo, su una popolazione completamente diversa e su un rapporto culturale verso il Wrestling altrettanto diverso. Eddy mostrò a tutti il famigerato Bladejob.

Se ci pensiamo ora, al Bladejob, siamo tutti consapevoli di ciò che è, e ciò a cui stiamo attenti se ne osserviamo uno, è capire dove era nascosta la lama, o se si tratti davvero di un Bladejob o di una ferita accidentale. All’epoca però no. Non era così. All’epoca “glielo facevano credere”. Era parte dello spettacolo, era cruda realtà, era la durezza messa in scena per rendere drammatico un incontro, un segmento.

John Stossel andò a nozze con tutto ciò e per questo finì in uno Show della World Wrestling Federation, nel suo Backstage. Un Backstage nel quale passeggiavano stelle come Hulk Hogan, Roddy Piper, Bob Orton, Randy Savage, Jimmy Snuka. Un Backstage nel quale passeggiava anche David Schultz, il dottor David Schultz.  un lottatore non da tanto nell’ambiente importante di Stamford, ma uno dei pochi che fece il grande salto dal Wrestling regionale a quello nazionale e che venne quasi subito inserito in Match importanti, con nomi importanti, in Show importanti. Uno sulla cresta dell’onda, pronto a sfondare, pronto a diventare una delle antitesi di Hulk Hogan, a diventare amico di Roddy Piper, poi magari pronto a cambiare bando, a diventare un buono. Si rivelò soltanto pronto alla fine, catturato e trascinato da un orgoglio troppo rigido e spinto a fondo da tutto il resto.

“Tu sta tranquillo David. Vai li e rispondi alle domande. L’unica cosa che devi fare è non rompere la Kayfabe, qualunque cosa ti venga chiesta”. Furono queste, secondo David, le parole ditegli da Vince McMahon in persona. Probabilmente Vince, non intendeva esattamente ciò che poi successe.

David Schultz per anni, ancora oggi, continua a giustificarsi con quelle parole, come se fosse stato Vince McMahon ad istigarlo. In realtà non è cosi, e siccome David non è stupido, sa benissimo di essere un enorme uomo nascosto dietro un piccolissimo dito. La rabbia covava dentro di lui da quando aveva visto quel programma in TV, con quello stupido ragazzino che rivelava tutto, che sputtanava quell’arte nella quale lui era pronto a diventare famoso, ricco, a diventare un grande.

Quando si trovò davanti a John Stossel, sapeva benissimo che quella domanda sarebbe arrivata. I suoi occhi erano sbarrati e non riusciva a stare fermo. In realtà non fu una vera e propria domanda, e probabilmente questo contribuì a scatenare ancora di più la rabbia di David. Fu un’affermazione: “Io credo sia falso”.

David non ci vide più. Decise in pochissimi secondi che era arrivato il momento di dimostrare al mondo, e in primis a quel giornalista che al mondo aveva rivelato i loro segreti, che non c’era niente di falso. Il primo schiaffo arrivò da sinistra. La mano destra di David colpì duro abbracciando dal mento all’orecchio del giornalista, che cadde a terra. Qualcuno alzò la voce cercando di calmare gli animi. Alcuni Wrestler cominciarono ad avvicinarsi, il resto dei giornalisti ad allontanarsi. Restarono David, in piedi, che continuava a ripetere a John se pensava ancora fosse finto, John a terra e il suo cameraman a pochi centimetri, che riprendeva la scena.

John Stossel, che in quel momento non cosa pensasse del Wrestling ma so che non pensava che quello schiaffo fosse finto, si rialzò quasi subito, come da lui ammesso, “stupidamente”. Il secondo schiaffo arrivò dalla parte opposta. John fu biblico nel porgere l’altra guancia e David fu categorico nel rimandarlo a terra. La frase che ripeteva era sempre la stessa: “Pensi che sia falso?”

Tutto finì com’era cominciato, con una sala stampa, che in realtà era il corridoio del Backstage, vuota. Ma in realtà non finì mai. John Stossel fece causa alla WWF per 280.000 dollari. La WWF licenziò David Schultz. Eddy Mansfield non sarebbe mai tornato a fare il Pro Wrestler.

Il focus sul Pro Wrestling ben  presto si spense, e pochi mesi dopo quel 28 dicembre, la WWF metterà in scena Wrestlemania, lo Show che la consacrerà come compagnia numero uno del mondo. John Stossel, alla fine, non vide uno scatto di carriera per quell’inchiesta. Come detto, Eddy Mansfield non avrebbe mai più fatto il lottatore, perché nessuno volle più avere a che fare con lui. David Schultz dovette abbandonare i sogni di Main Eventer e di ricchezza, continuando una scialba carriera nei Midcarder oltre oceano e per lo più fuori dagli Stati Uniti. Nessuno guadagnò niente da quella brutta storia, non il giornalista arrivista, non il Wrestler vendicativo, non il Wrestler orgoglioso e brutale.

Queste tre persone si misero tutte in testa a una crociata, per motivi diversi, contro qualcosa o qualcuno che probabilmente aveva l’unica colpa di cercare la cosa migliore per se stesso e per il resto delle persone che lo circondavano. Tutti sbagliando e tutti contro tutti. Carcerieri di vittime a loro volta carcerieri. Vittime di carcerieri a loro volta vittime. E tutto si spense, per tutti, senza averci guadagnato nulla. Peccarono cercando di distruggere chi avevano di fronte, e furono a loro volta distrutti. Per niente.

Eddy Mansfield ha detto: “Abraham Lincoln ha liberato gli schiavi, ma si è dimenticato di liberare i Pro Wrestler”. E con questa frase, che mischia il sacro e il profano, voglio chiudere un racconto che parla di tre individui che fra il sacro e il profano, ci hanno sguazzato dentro in tutta questa storia, in maniera, a dir poco, esagerata.

Direttore di Zona Wrestling. Appassionato di vecchia data, una vita a rincorrere il Pro Wrestling, dal lontano 1990. Studioso della disciplina e della sua storia. Scrive su Zona Wrestling dal 2009, con articoli di ogni genere, storia, Preview, Review, Radio Show, attualità e all'occasione Report e News, dei quali ha fatto incetta nei primi anni su queste pagine. Segue da molti anni Major ed Indy americane e non.