Dopo 15 settimane di controprogrammazione, possiamo tirare una seconda linea circa lo sviluppo di questa “schermaglia” tra NXT e Dynamite, che vede come campo di battaglia i nostri schermi televisivi durante il mercoledì sera.
Partiamo da un disclaimer forse ripetitivo ma doveroso: il vero fan di wrestling, a meno che non abbia investito migliaia di dollari in azioni WWE o se non appartenga alla famiglia Khan (e non mi riferisco all’ex ragazza di Kurt Angle, che tanti lividi gli inflisse), dovrebbe far tifo per la qualità, un concetto che non veste bandiera e che prescinde da un acronimo a tre lettere. AEW Dynamite è uno show che ha sprazzi qualitativi eccellenti mentre NXT è, dal punto di vista squisitamente di fruibilità e godibilità, il meglio che ci sia in circolazione: parliamo dunque di due bei show, simili e nel contempo diversi tra loro, in grado di intrattenere ottimamente l’esigente fan-nerd di wrestling.
Dal punto di vista dei ratings mentre la AEW ha registrato, spannometricamente, una flessione in 14 settimane del 40% (un dato piuttosto forte), NXT si è attestato sin da subito, con oscillazioni minime, sugli 800mila spettatori non subendo flessioni di alcun tipo, aumentando anzi in modo molto lento ma graduale la percentuale di spettatori di età compresa tra i 18 ed i 49 anni. Questo dato ci regala, in effetti, due verità oggettive.
La prima è che, dati alla mano, la AEW ha beneficiato di una forte curiosità alla sua genesi, attirando un gran numero di fan casuali che, pian pianino, stanno abbandonando la nave lasciando intonso uno zoccolo duro di appassionati che resteranno a bordo nonostante tutto. A meno che non vi sia un autosabotaggio lungo un lustro come fece la TNA, ma mi sentirei di escluderlo. Tale zoccolo duro persiste anche per NXT, crescendo pian pianino, ma non vi è diretta connessione tra gli esodati della AEW ed i nuovi spettatori acquisiti, che sono passati da uno show all’altro solo in minima parte (meno del 10%) e proprio questo aspetto è per me il maggiormente indicativo, al punto dal voler approfondirlo assieme a voi.
Una volta acquisito il dato quantitativo, resta da analizzare quello qualitativo. Mi spiego meglio: ora che sappiamo quanti sono quelli che hanno smesso di vedere la AEW, soffermiamoci sul comprendere chi sono, ed ipotizziamo il perché della loro scelta, delle loro abitudini. Scelte ed abitudini influenzate, ironia della sorte, tanto dalla AEW quanto dalla WWE in modo più meno diretto.
Credo, ma potrei sbagliarmi, che la creazione della AEW abbia ridato speranza e creato interesse a tutti gli appassionati di wrestling di vecchia data, che capivano un wrestling “semplice”, diretto e che sono stati prima anestetizzati, poi alienati dal prodotto WWE a tratti tedioso, ripetitivo, trito e ritrito ed apparentemente incapace di rinnovarsi. Il lavoro fatto dalla WWE su una tipologia di fan di wrestling affezionata ma sino ad un certo punto è stato lungo e certosino nel corso degli anni: piano piano il prodotto, diciamoci la verità, è diventato difficilmente fruibile a lungo termine, incoerente per certi versi, favorendo invece una digeribilità più “banale” ed a breve termine. Ecco, non è che la WWE abbia difficoltà a farsi guardare, ma a far affezionare.
Tuttavia a questa gente il wrestling piaceva, ma in un contesto come quello degli ultimi anni in cui tutto è facilmente consumabile, e le MMA riescono ad appassionare molto più del wrestling (da cui attingono a piene mani il lato-intrattenimento) non fosse altro che per l’imprevedibilità del risultato e la non predeterminazione dello stesso, riesce difficile riaccendere quell’interesse per il wrestling che magari si nutriva dai 12 ai 18 anni. A 35-40 le esigenze sono diverse, il tempo da dedicare allo sport intrattenimento è minore e dunque va ben speso e centellinato.
In tal senso, la AEW sapeva e per certi versi sa ancora di nuovo ma aveva creato, complici anche dichiarazioni alla sua genesi, un’aspettativa di rivoluzionamento di un prodotto: non solo un ritorno alle origini, ma una rivoluzione copernicana vera e propria. Non dico che la AEW avrebbe dovuto far questo (anche perché non so nemmeno se sia possibile o meno), non dico neanche che l’abbia promesso, anche se poco ci è mancato: dico invece che l’emorragia graduale di pubblico, che sembrerebbe essersi arrestata, nasce da una falsa aspettativa di rivoluzione, di cambiamento, di svolta. Abbattere il “trono” a martellate ha una simbologia forte, chiara ed univoca: tagliare i ponti con quel prodotto, bruciare le funi e creare qualcosa di nuovo.
La AEW è un buono, a tratti ottimo show di wrestling, ma non ha inventato nulla di nuovo se non orpelli collaterali come i ranking o cose così (concetto già sperimentato in TNA con scarsi risultati): è e resterà sempre uno show di wrestling, ed una volta disamorati da questo sport potrebbe risultare oggettivamente difficoltoso tornare a Canossa riaccendendo la fiamma della passione sopita in età post-adolescenziale. Per questo esigente pubblico semplicemente il wrestling non basta più, a prescindere dai colori di cui ci si veste.
In tale ottica, la “guerra” del mercoledì sera potrebbe aver quasi raggiunto un momento di stallo semi cronico: il pubblico che segue wrestling a prescindere da tutto è quello (1.5 – 2 milioni di spettatori) e potrebbe essere distribuito in modo più meno equo tra i due show per moltissimo tempo, non traslando e non avendo sbalzi sensibili in un senso o in un altro.
Dovendomi basare sui miei personalissimi gusti, se dovessi fare necessariamente una scelta tra i due show propenderei sempre e comunque per NXT per una questione di ritmo cadenzato, personaggi in rampa di lancio e qualità media non solo sul quadrato ma anche fuori. Anche e soprattutto la divisione femminile dello show giallo-oro è almeno due spanne sopra quella della concorrenza, senza dubbio alcuno. Resta grande curiosità per la AEW, intendiamoci, ma almeno al momento la mia esaltazione non è andata mai oltre un onesto ed attento interesse.
Lascio la parola a voi, sperando di aver offerto qualche spunto di riflessione interessante.