Si può dare un senso a ciò che senso non sembra averne? Si può leggere fra le righe della vita, anche solo nell’ultima pagina, per capire se in fondo, scritto piccolissimo, c’è il motivo della quotidianità, del vivere, del lavorare, del costruire, per poi far finire tutto in qualcosa talmente improvviso e veloce da far impallidire un lampo? La risposta è evidentemente no, ma dentro lo sconcerto atroce che lascia una tragedia, bisogna comunque cercare di farsi strada, assaporando l’amaro sapore del fiele, solo per trovare qualche granello di zucchero che addolcisca il futuro, o magari un po’ di sale che ci smuova i ricordi, che ormai, sono l’unica cosa che resta.
Muore, improvvisamente, in maniera devastante, allucinante, imprevedibilmente debilitante, Jamin Pugh. Il mondo, soprattutto quello del Wrestling, ha imparato ad amarlo, nel corso di una fantastica carriera indipendente, come Jay Briscoe.
Se si potesse tornare indietro, in questo mondo del Wrestling rattoppato da strati di necrologi precoci, si scoprirebbe che la maggior parte delle volte, nel lutto, si è quasi sempre potuta trovare una scusa. Beveva troppo, si drogava, gli antidolorifici, la depressione. Scuse che chiamiamo cosi per far capire cosa intendiamo, pur sapendo che non ci sono scuse nella morte, pur sapendo che ogni uomo o donna, ha dentro di se il suo dolore e il suo vuoto, che lo spingono inesorabilmente sull’orlo del precipizio. Stavolta però, che si possa parlare di scusa o no, non c’è nulla. Non ci si può aggrappare a niente, se non alla fatalità più dolorosa, quella della morte improvvisa che non ha nemmeno, nel corso degli anni, dato un piccolo, misero avvertimento.
La tristezza è incontenibile, e il conforto per la sua famiglia quasi inutile. Muore Jay Briscoe, e con lui va via, sono sicuro, anche un pezzo di suo fratello Mark, la sua metà sportiva, la sua metà famigliare. Muore, se vogliamo parlare di sport spettacolo, uno dei migliori Tag Team della storia del Wrestling indipendente, se non tanto sottovalutati, uno dei migliori Tag Team degli ultimi dieci anni, e parlo in generale. Una coppia, che nel sodalizio e nell’esplosione, non ha mai smesso di essere una coppia, scambiandosi idee, parole, sudore e sangue, su un quadrato che gli è sempre andato troppo piccolo, e che proprio quando sembrava allargarsi, si è chiuso di botto. Mark è scivolato fuori, Jay è rimasto stritolato.
E’ quindi mi ritrovo di nuovo qui, con il cuore ormai abituato, con la mente troppo lucida di fronte alla tragedia, tragedia che se fosse una macchina di lusso, avrebbe la parola Wrestling scritta sulla targa. Già, “la mente troppo lucida”, una frase che mi fa ancora più paura della tragedia stessa, perché significa che sono abituato a parlare di questo, che sono esperto a scrivere della morte dentro e fuori dal quadrato, che sto diventando di ghiaccio di fronte al calore che sfugge da un corpo, quello stesso corpo che mi ha fatto emozionare, urlare e godere per anni.
Che riposi in pace Jay, e speriamo che possa riposare in vita anche suo fratello. Speriamo che possa stare accanto con la mente sgombra, alle sue nipotine, anch’esse coinvolte in quella terribile carambola che ha portato alla morte del loro papà. Speriamo di poterle vedere ancora correre, con un angelo custode in carne ed ossa e uno, più forte e confortante, di materia che non esiste, ma che scalda l’anima.
C’è solo una cosa che mi conforta al pensare che Jay Briscoe è rimasto dentro le lamiere di una macchina, ed è l’immaginarlo che esce dal suo corpo e si siede a bordo strada a guardare il disastro, accanto un uomo al quale decenni fa toccò la stessa sorte, un uomo di colore, grande e grosso, un uomo che ha fatto tanto per la sua gente, andando in TV e dimostrando che era possibile. Un uomo, Junkyard Dog, che saprà accompagnare Jay e che non lo lascerà solo, un Jay che, sperando che suo fratello lo raggiunga il più tardi possibile, avrebbe già trovato un nuovo Tag Team Partner.