Per avere uno show spettacolare si ha bisogno di un Roster solido. Per avere un Roster solido, bisogna che i titoli contesi siano prestigiosi. Quando due lottatori si danno battaglia per un titolo mediocre, l’interesse attorno alla loro rivalità inevitabilmente scema. Se viene meno l’importanza di un trofeo in palio, che è uno dei tre principali motivi per cui due wrestler si danno battaglia sul ring (gli altri due sono rivalità personali e “amori” contesi), anche tutto ciò che gravita attorno a quel feud perde di interesse. Sia i lottatori in questione che i loro match. È capitato in passato che quando si aveva una cintura che necessitava di un “push” (perché anche queste possono essere “pushate”, ovviamente per motivi ben diversi dai wrestler), si sceglieva un wrestler promettente a cui assegnarla, con la speranza che il Wrestler riportasse il titolo in auge. Tuttavia, coloro che ci sono riusciti possono contarsi sulle dita di due mani in 40 anni di storia. Il che dimostra quanto questa “strategia” sia fallimentare.
È ovvio che, quando il campione (vuoi per carenza di carisma, vuoi per scarsa qualità dei match titolati) non riusciva a dare prestigio al titolo, la colpa inesorabilmente ricadeva su di lui. E tale e tanta e la colpa in questi casi che, alle volte, la carriera del lottatore subiva una notevole battuta di arresto. Spesso fatale. Tra coloro che, dopo un regno da campione insoddisfacente, hanno subito un “declassamento” c’è stato anche chi ha avuto tra le mani un titolo prestigioso non riuscendo a soddisfarne le elevate aspettative. E se a questi seguivano altri campioni “fallimentari”, il titolo finiva per perdere quell’aura di importanza, venendo relegato ad uno stagnante stato di mediocrità da cui uscirne sarebbe stata impresa ardua. È successo molto di rado, ma è successo. E comunque non è il caso in questione.
Mi riferisco al “dramma del titolo U.S.”, in piena agonia sotto gli occhi di tutti da qualche annetto. Il paragone col gemello titolo intercontinentale viene naturale, e spesso il paragone non ha retto. Vuoi per qualità dello show di appartenenza, vuoi per spessore del campione in carica, il titolo U.s è sempre sembrato qualche spanna sotto quello intercontinentale. Ancor di più lo è oggi, dove certo un meraviglioso Gunther non lascia adito a dubbi, né spazio alcuno a contendenti. Ma questa “sconfitta” nel paragone del titolo più rappresentativo della Nazione a stelle e strisce, è stata colpevolmente aiutata da una gestione discutibile della dirigenza. Non si può far vincere questo titolo al midcarder più promettente del momento sperando che con ciò questo si riveli un regno “vincente”. Questa strategia, come ho scritto sopra, è fallimentare.
Infatti negli ultimi due anni, eccezion fatta per Bobby Lashley (che sarebbe arrivato comunque al top, anche senza cintura. Sia per abilità sua che per quelle di MVP), abbiamo avuto una serie di possessori del titolo che, o non ne hanno tratto alcun vantaggio (e né ne hanno restituito al titolo stesso), oppure non si sono rivelati campioni dal regno memorabile. Perché, un titolo “secondario” come quello degli Stati Uniti, ha il preciso compito di “preparare” il terreno per un futuro regno da campione mondiale del detentore. Ma quando lo si assegna a Rey Mysterio o Seth Rollins (che non ne avrebbero neppure bisogno, in quanto già pluricampioni mondiali), o si spera che possano riproporre il “Cena’s open challenge” di qualche anno fa, oppure si sta solo togliendo spazio alle giovani promesse.
Giovani promesse che, ahimè, quando hanno avuto l’occasione titolata non si sono mostrati all’altezza. Da Balor (il cui regno è stato anonimo e incolore) a Priest (di cui a fatica ci si ricorda), passando per Theory e Apollo Crews, tutti indistintamente hanno fallito. E il titolo è finito per attraversare un vero e proprio “golgota” sportivo, portandolo ad essere un titolo privo di una capacità di slancio professionale. Eppure qualche anno fa la storia era diversa. Cena, Guerrero, Daniel Bryan, sono tre nomi che, se non avessero vinto il titolo Statunitense, forse sarebbero arrivati nell’olimpo del Wrestling molto più tardi, e con molta fatica in più. Ma in quel momento storico erano i lottatori più idonei a ricoprire l’incarico; Cena aveva il sostegno totale del pubblico. Guerrero era una certezza sul ring e Bryan era capace di ottimi match. Per risalire la china servirebbe proprio questo; assegnare il titolo a chi, in questo momento, ha una credibilità ben consolidata (ad esempio un Solo Sikoa), o gode del sostegno del pubblico (LA Knight su tutti), o ancora, è capace di ottimi match (Montez Ford, magari in una “run” in singolo). La storia si ripete. Ma se spesso si usa questa massima con un certo disprezzo, ora deve diventare il nostro più ardente augurio.