Il denaro è davvero un Dio. Ha un enorme potere persuasivo, capace anche di interrompere un lungo percorso di “emancipazione” femminile avviato tempo fa nel Wrestling. Durante l’anno non ho mai avuto fretta di vedere Crown Jewel perché lo ritengo un evento “snaturato”, tanto lontano dai propositi della federazione da risultare quasi un evento a sé. La WWE va lì seguendo il profumo dei soldi, e cerca di garantirsene il maggior ammontare sponsorizzando match mozzafiato e, talvolta, accettando anche di cadere in piena contraddizione con sé stessa. Ma davvero il guadagno supera tutto? I soldi soppiantano il bisogno che ogni azienda avverte di preservare la sua immagine? La WWE, oltre ad una barca di soldi, cos’altro è in grado di guadagnare da Crown Jewel?

Il popolo Arabo è molto esigente, e battendo moneta (e in grosse quantità), riesce ad ottenere ciò che vuole. Tuttavia spesso il risultato lascia parecchio a desiderare. I “dream match” richiesti a gran voce dai committenti si sono rivelati vergognosi, costringendo (si fa per dire) lottatori “attempati” ad esibirsi sul ring, ottenendo contese piene di errori e di imbarazzo. Però, ancor più sconcertante della scelta di costruire scenari che l’età degli atleti non può garantire, c’è la decisione della WWE di “allinearsi” ai princìpi morali della società araba, coprendo dal collo ai piedi le proprie lottatrici, in barba a quell’idea di raggiungere l’uguaglianza tra uomo e donna anche nel Wrestling. Ciò non può che indignarci come fan e come cittadini del Mondo del 2023.

La WWE si è sempre battuta per l’emancipazione femminile, dando anche un nome al movimento che ha portato all’ascesa delle lottatrici nel panorama del wrestling mondiale. Questo nome incorpora l’idea della rivoluzione (Women’s Revolution appunto) che le atlete, di concerto con una dirigenza allora ben predisposta, hanno compiuto con tempo e fatica davanti a milioni di fan. Vederle imbacuccate fino al mento, attente a non offendere la sensibilità dei cittadini arabi, è una dolorosa battuta d’arresto in questo faticoso percorso. Ed è qui che l’immagine della WWE ne esce malconcia agli occhi di un pubblico attento. Se non altro perché si è sempre contraddistinta per avviare “crociate” contro il razzismo, la violenza sulle donne e la discriminazione fisica. Da un brand così ci si aspetta l’astensione da certi inviti, o quantomeno la scelta democristiana di non far esibire le donne per non darne una immagine anacronistica. Alle volte non è chi commette l’errore ad essere il maggior colpevole, ma chi lo asseconda nel “malsano” proposito