Non mi capacito della scelta di concedere il titolo Statunitense a Logan Paul in Arabia. E questo scetticismo non è dovuto alle capacità del wrestler, ma alla sua scarsa presenza agli show. Se ormai è diventata abitudine ricorrente quella di avere part-timer nella Compagnia, in un momento come questo però risulta fortemente deleterio. Lo è ancor di più quando sono due part-timer a detenere I titoli massimi di un evento. Ciò lascia gli altri atleti a rigirarsi i pollici, e i writers a fare miracoli di inventiva per tenere i telespettatori incollati allo schermo.
Con i titoli tag team difesi in pianta stabile a Raw, quello WWE nelle mani del latitante Roman Reigns e quello U.S alla vita di un uomo impegnato più a pubblicizzare se stesso che ad esibirsi sul ring, lo show di Smackdown è rimasto privo di titoli maschili da contendersi. Questo nuoce gravemente alla qualità del prodotto perché, mancando un trofeo a cui ambire, il 90% del parco lottatori resta senza una vera ragion d’essere. E i match proposti o sono figli di una rivalità interessante, oppure appaiono come semplici esibizioni davanti ad una telecamera, senza il naturale mordente che un obiettivo titolato regala alle contese.
In questo senso mi rammarico della decisione di far vincere l’ultimo titolo difeso a Smackdown ad un atleta che si fa vedere circa una volta al mese. Fossi stato io nel team creativo avrei optato per la scelta di rendere il titolo Statunitense quello principale dello show, a coprire i lunghi vuoti temporali lasciati dal Capotribù, così come si è fatto con Gunther e il suo titolo intercontinentale solo qualche mese fa. Questa scelta portò l’austriaco sotto le luci della ribalta, e il relativo titolo in un auge di cui gode ancor oggi. E, considerato il calo d’interesse di cui soffre oggi il titolo americano, ciò si sarebbe potuto rivelare un toccasana per l’intero show.