Ultimamente non ho tempo; non ho proprio tempo in generale, le giornate sono dense, piene, corro a destra e sinistra, sempre il cellulare che suona troppo e a volte arriva sera in un attimo. La sera la dedico sempre al wrestling, se non lo vedo, ne parlo in diretta radio; ho il mio programmino settimanale e ogni sera ho qualcosa da vedere. Insomma, nulla di particolare, la tipica vita che potrebbe avere un over 30 con un lavoro mediamente impegnativo.
E quando mi approccio a Raw e Smackdown…niente, ancora resisto, mi guardo tutto. Tutto, anche se ormai non mi appassiona sinceramente più niente. Capisco chi stravede per Seth Rollins, io non ci riesco, per fare un esempio. In pratica tutto seguo e quasi niente di appassiona in WWE; ma in generale ho un approccio mediamente ottimista. Dopo tanti anni, so cosa aspettarmi, cosa uno come Aleister Black può ottenere nel main roster senza farmi il sangue amaro.
Non mi crederete lo so, ma anche i casi umani come Baron Corbin o Jinder Mahal li seguo con interesse, perché so che da un momento all’altro sono “capaci” di tirare fuori qualche errore e io mi diverto moltissimo anche in quei momenti di wrestling dilettantesco. Tu puoi prendere chiunque, truccarlo un po’, alzare la cortina di fumo, renderlo potente come il Mago di Oz, ma alla fine i nodi vengono sempre al pettine; qualcosa che cigola verrà inevitabilmente a galla.
Negli ultimi cinque anni ci siamo “divertiti” a prendercela contro i Maghi di Oz dei nostri giorni, perlopiù vecchi lottatori come Goldberg o Undertaker che ormai vivono del mito e di quel sopracitato effetto magico. Poi lo scorso anno arriva lui. A proposito, se sei arrivato a leggere fino a qui senza passare subito ai commenti dopo il titolo, ti faccio i miei complimenti.
Bray Wyatt divide tanto, chi lo ama e chi lo odia. Sono sempre partito prevenuto su di lui, è un mediocre, per non dire pessimo lottatore che ha sempre avuto tante opportunità per diventare una mega star e le ha tutte mancate per varie ragioni. Prima era troppo giovane e inesperto, poi la difficoltà di gestire nei tempi moderni una gimmick soprannaturale, poi l’incapacità di essere un lottatore in grado di guidare una contesa, seppur con facili e schematici ritmi della WWE. Immagino, sinceramente, che questi punti siano evidenti, palesi, io scenderei però qui. La mitizzazione che ha avuto negli anni Bray Wyatt è puro marketing.
Ci ricordiamo benissimo la genesi del recente Wyatt, tutta la curiosità, i video di youtuber e influencers che ci raccontavano il Fiend come la più grande idea nel pro-wrestling americano dai tempi delle grandi stable degli anni Novanta. Ecco, dicevo, io scendo dal treno, grazie.
Come Netflix realizza le serie per target specifici, così la WWE ha adottato lo stesso metodo per l’ennesima rinascita di Wyatt. C’è una precisa fascia di pubblico, ben calcolata, in una forbice d’età ben precisa, che vuole vedere gli antieroi avere ruoli di primo piano. Merito in questo senso alla WWE che con il metodo della pesca a strascico ha messo in onda, con grande sapienza, le sue vignette, certa che ci sarebbe stato un ritorno mediamente positivo. Non perché Wyatt sia un fenomeno, ma semplicemente perché, in WWE, non sono solo i rincoglioniti che mandano al macello per qualche anno consecutivamente nel main eventi di Wrestlemania Roman Reigns sperando che vada over; sono anche quelli che hanno inventato le regole del wrestling moderno e hanno i codici di “lancio” di per mandare in orbita chi vogliono.
In quest’ottica sarebbe ingiusto demolire totalmente The Fiend. La gestione sul ring è stata letteralmente ridicola, prima invincibile, poi ultimamente protagonista di match cinematografici, fino alla sconfitta brutta con Braun. Una sincopata gestione che dice chiaramente che i risultati vanno in secondo, terzo piano addirittura; l’importante è il feeling con il suo pubblico. In un modo o nell’altro da anni si va avanti su questa strada, oscillando tra la mediocrità totale sul ring, protetto il più possibile con pochissimi match settimanali e ultimamente gli incontri editati in ppv, agli angle che non hanno paura di sovraesporlo, anzi forzano la mano su certi elementi che qualcuno definirà “geniali”, stuprando il significato di questa parola. Come un comico che fa una battuta all’inizio di uno spettacolo e, di tanto in tanto dopo qualche minuto, la ripropone perché fa ridere e al suo pubblico piace, anche se in un contesto leggermente diverso, perché in fondo in fondo è meglio essere rassicurati che messi in “crisi”.
Al drone umano Bray Wyatt, così artificialmente incapace di esprimere qualcosa fuori da una battuta scritta dal writer, sia anche sé stesso in questa veste, preferirò sempre chi, dopo anni che seguo il wrestling, mi fa provare una emotività inedita come Becky.
Bray Wyatt voleva essere diverso, ma ha fallito.