Daniel Bryan non cessa mai di stupirmi. Una volta miracolosamente rientrato dal ritiro, la WWE ha botchato in modo clamoroso una storia che praticamente si sarebbe scritta da sé: Bryan è stato vituperato, inserito in faide di livello infimo (una delle prime al suo rientro fu contro Big Cass, giova ricordarlo) ed il suo attesissimo ed insperato ritorno, in modo clamoroso, è stato reso grigio e dimenticabile. Una delle piú grandi occasioni sprecate della storia recente, senza se e senza ma.
Ad un certo punto, tuttavia, Bryan ha preso in mano le redini della propria carriera e del proprio destino, come fatto in molte altre occasioni, ridefinendo il concetto di grandezza. Il salvifico turn heel e conseguente conquista dell’alloro Titolato lo consegna come un Campione divertente ma nel contempo serio, temibile e vincente grazie anche alla partnership con Eric Rowan, che non ha mai brillato come oggi in otto anni di permanenza in WWE. Bryan non solo ridona lustro alla Cintura, ma crea in modo quasi solitario il “fenomeno” Kofi Kingston, regalando la seconda pagina di storia in quel di Wrestlemania questa volta perdendo, contrariamente a quanto avvenuto nel corso della 30esima edizione dello show. Uno show, giova ricordarlo, interamente incentrato sulla sua figura: un precedente quasi assoluto.
Lo scopo ultimo e finale di un heel che funziona non è quello di vincere cinture o instaurare un regno del terrore. Mentre il babyface ha come unico scopo quello di costruire una montagna su cui salire, l’heel deve essere proprio la parete rocciosa, e piu´ripida è la scalata, piu´il raggiungimento della vetta assume importanza. Per Kingston, Bryan è stato l’Everest: consapevole della differenza di status tra se stesso e l’avversario (cercate di ricordare come era percepito Kingston solo un anno fa, inserito assieme al New Day in una lunghissima faida contro The Bar) DB ha non solo sottolineato questa differenza, ma in considerazione delle similitudini della posizione occupata lo scorso anno da Kingston e 4 anni fa da se stesso, ha rinnegato tutto quello che lo aveva portato al successo illo tempore, creando per se stesso una logica ferrea ma nel contempo distorta e deviata, proprio come dovrebbe fare un heel solido e moderno. Ed in questa complessità, Kingston è emerso come un eroe semplice, diretto ed efficace: merito suo, ma soprattutto merito di chi lo ha “creato”.
Ora Bryan è nuovamente turnato babyface (scrivo questo editoriale ben prima di HIAC, dunque non so se vi è stato o meno lo swerve contro Roman Reigns) ed è senza dubbio uno degli uomini giusti su cui puntare in vista di questa teorica “rifondazione” dei due brand WWE. Dirò di più: in questo momento Bryan potrebbe essere l’uomo di punta perfetto per interpretare il ruolo di top face in quel di RAW, dove la zona main event è reduce da un piattume preoccupante e piuttosto prolungato oramai. Questo per un unico, essenziale motivo: Daniel Bryan è uno dei più grandi wrestler che siano mai esistiti, ed averlo ancora in attività nonostante tutto è un privilegio dato fin troppo per scontato da noi viziati fan smartoni.
Certo, il suo stile di lotta è cambiato (ma neanche troppo) rispetto a quello prima del ritiro (piu´safe, ma meno di quanto fosse legittimo chiedergli) ma sul quadrato resta nella top 5 dei migliori attualmente in WWE mentre al microfono, se ci pensiamo bene, è almeno due gradini sopra qualsiasi performer in circolazione che non si chiami Paul Heyman. Avreste mai pensato, nel lontano 2007, che l’American Dragon avrebbe fatto della mic skill la sua dote principale?
Proprio per questo non temo di inserire Daniel Bryan nel discorso “Best Ever” assieme a Stone Cold, HBK, Flair, Hogan, Cena, Rock, Bret Hart e via discorrendo. Potreste storcere il naso, mi rendo conto, ma seguitemi per un secondo.
Daniel Bryan è diventato grande in un contesto storico ben piu´complesso rispetto ai suoi illustri predecessori, Cena compreso. Non dico che fosse facile essere un wrestler di successo negli anni ’80 o ’90, dico solo che bastava molto meno rispetto agli anni che vanno dal 2010 sino ad oggi: prima bastava avere carisma, un fisico da dio greco e la ferma volontá da parte della Compagnia di “creare” una star, negli anni ’90 abbiamo avuto due superstar generazionali come SCSA e The Rock dotate di un carisma mai visto prima, ma a cui è stato chiaramente consentito di “rompere” le regole per andare over, Cena è stato costruito e caparbiamente imposto facendo della costanza la sua forza e Bryan…è stato quello che definirei una tempesta perfetta.
Miglioramento esponenziale del performer, coinciso con una spontanea ed organica “scelta” da parte del pubblico che, frustrato dalla sua gestione a singhiozzo, decide di eleggerlo come proprio Campione. Bryan è esattamente ció che sembra: un ragazzo umile e straordinario, che ama il wrestling piu´di qualsiasi altra cosa, pronto a tutto pur di ottenere un’ovazione da parte dei fan…essere gradito a tutti (TUTTI) è un’impresa a dir poco impossibile, ed il fatto che Bryan ci sia riuscito senza troppa fatica probabilmente non ci fa apprezzare a pieno quanto sia eccezionale questo risultato. E paradossalmente, lo sfortunato ed inaspettato “primo ritiro” non ha fatto altro che accrescere la sua notorietá, facendolo amare ancora di piu´da fan e colleghi, oltre ad esporlo in vari ruoli (Talking Smack, GM di Smackdown, commentatore del Cruiserweight Classic) dove le sue capacitá al microfono non hanno fatto altro che migliorare ulteriormente. Gavetta, entrata dalla finestrella in WWE (come rookie ad NXT), ascesa, successo planetario: un’impresa che in pochissimi avrebbero potuto compiere.
Un lottatore capace di essere universalmente amato ed in grado di essere odiato talmente tanto da non poter non essere idolatrato, Bryan è una delle ultime Superstar rimaste in attivitá, ed andrebbe gestito in modo ancor piu´lusinghiero nei suoi riguardi: come scritto, potrebbe proprio lui essere l’atleta giusto per far ripartire alla grande RAW dopo l’atteso draft che avrá luogo di qui a breve.