Mi apprestavo a raccontare qualcosa anche questo Sabato. Ragionavo su diverse possibilità che giravano nella mia testa. Questo, quello, quell’altro ancora. Poi nel torpore di un pomeriggio uguale a tanti altri, la scossa ha risvegliato il nero sentimento dell’irreparabile.
E’ morto Bruno Sammartino. E’ morto proprio lui. Non è un errore, non è un falso Rumor. Non è una voce. E’ morto proprio lui. E’ morto.
Questo potrebbe essere un ricordo, un tentativo di spiegare perché. Come. Sempre è cosi. Stavolta è diverso però. Stavolta non si parla di un uomo portato via dalla notte. Stavolta si parla, e si deve parlare, di un uomo portato via da un raggio di sole, a 82 anni, dopo una vita difficile, poi trasformatasi in incanto, grazie alla fatica, al lavoro e al carattere.
Non è un giorno poi cosi triste, il 18 Aprile del 2018. E’ un giorno nel quale la natura ha fatto il suo corso, sollevando da ogni sforzo e da ogni obbligo, un individuo che per anni ha sollevato da ogni scorcio di realtà centinaia di migliaia di persone, facendogli sentire la possibilità di riuscire, sfondare, arrivare a un traguardo che magari, aldilà dei sogni, nemmeno si poteva immaginare.
Perché il buon Bruno non pensava al Wrestling quando era bambino. Non pensava al Wrestling quando vedeva sua madre incidere sul muro i giorni, contando quante ore sarebbero passate prima di poter tornare a sfamare in suoi figli come si deve. Bruno non pensava al Wrestling nascosto in una montagna per sfuggire all’esercito nazista. Vedeva un mondo distrutto intorno a se e si chiedeva come un giorno, in una fantastica rivalsa, avrebbe potuto cambiarlo.
Da Pizzoferrato, paese tanto piccolo quando sconosciuto, a Pittsburgh, Pennsylvania. La grande America. I salvatori dell’Europa, la dove i sogni diventano realtà. La vita comincia a sorridere alla famiglia e Bruno, ricalcando la sorte che gli era spettata, cresce scoprendo che forse, dal suo piccolo, poteva nascere qualcosa di grande.
Comincia da qui il suo viaggio nel mondo del Professional Wrestling, quello che lo porterà a diventare lo specchio nel quale centinaia di altri uomini si sarebbero specchiati. A diventare l’esempio per tutti coloro che lo avrebbero guardato. A diventare la leggenda che tutti conosciamo. Con un colpo al cuore e uno alle tempie, Bruno Sammartino scalza Buddy Rogers, sedendosi per sempre nel trono del più grande.
Vince Jesse McMahon prima e Vince McMahon Sr. poi si affidano a lui per otto lunghi anni, concentrando ogni sforzo nella sua carriera e costruendo un palazzo che mattone dopo mattone diventerà cosi forte da resistere a ogni terremoto, mica poco, per uno che viene da una terra che i terremoti li conosce bene.
Bruno diventa il simbolo per gli statunitensi, per gli italiani, decine di migliaia nell’America di quel tempo. Di tutti quegli emigrati, dai messicani ai russi, che in quelle terre cercavano fortuna e inseguivano una vita dignitosa. I sogni però, anche quello americano, vanno lavorati ai fianchi, piegati pian piano, abbattuti con parsimonia e lavoro. Questo lo rese, senza se e senza ma, l’icona di un’epoca. Lo rese il fulcro della ragione di essere di tutti coloro che nel presente e nel futuro avrebbero provato a eguagliarlo. Tanto grande com’era, di spirito e di fatto, nessuno sarà mai grande quanto lui, ma anche solo il tentativo di vivere una vita come la sua, a modo suo, aiuterà i micro mondi rinchiusi nei ghetti a svegliarsi da un sonno malsano, senza serenità.
Il Wrestling più importante che oggi noi tutti conosciamo parte da qui, da un signore nato sotto il tricolore, che ha dimostrato quanto forte sia l’animo di un povero emigrato, quando gentiluomo possa essere il tempo e quanto bene possa vederci la fortuna se solo, nel momento delle “decisioni irrevocabili”, qualcuno gira le spalle e dice no.
Bruno Sammartino e la sua famiglia dissero no. Lacrime agli occhi e zaino in spalla, lasciarono la loro terra natale con la speranza di trovare asilo e piantare un nuovo seme da innaffiare e dal quale sfamare una vita.
…e tutto il resto.. tutto il resto è storia..
Due volte campione del mondo, perché delle considerazioni delle riviste o dei consigli direttivi io me ne frego altamente, della compagnia che diventerà la più importante della storia. Undici anni di regno complessivi. Un’arca della gloria della quale non può che essere il capitano. Il Noe.
Come solo i buoni capitani sanno, le regole della navigazione vanno rispettate, anche sui fiumi, e sarà per questo che per attraversare l’Acheronte, perché Bruno non vuole saperne di andare fra le nuvole, lui vuole le fiamme, consegnerà un dono e pagherà il suo prezzo a Caronte. Lo psicopompo accetterà, pur vedendo che non si tratta di un obolo, ma di una cintura che per anni è stata il simbolo della forza, della determinazione, della sicurezza, della grandezza, dell’immensa perseveranza.
Non siate tristi, perché dopo 82 anni vissuti a mille, nel bene e nel male, oggi Bruno Sammartino, la più grande attrazione che il mondo del Pro Wrestling abbia mai conosciuto, riposa in pace, con se stesso e con l’universo. Che ogni adepto del Ring si inginocchi, metta le mani sul viso e ringrazi la stella più luminosa, il simbolo del firmamento. Che ognuno guardi a Bruno come gli antichi guardavano alla stella polare, perché senza una direzione, nessuno, mai, saprebbe dove andare.
“..ed ora, nelle oscure tenebre di un inferno sconosciuto, fra lampi di fiamme in lontananza e macabre grida, sarà lui a ribaltare le sorti dei dannati. Non volle il paradiso perché sotto un cielo azzurro non c’è nessuno da salvare. Scelse l’inferno perché li, dove gli occhi degli dei non guardano e le bestie demoniache ti incalzano, ci sono le anime da aiutare, spezzando catene, infuriando lanterne e conducendo lampare..”