Incastonato nel centro del Sudamerica, ormai quasi vent’anni fa, è nato un movimento che vuole rappresentare ciò che negli Stati Uniti e in tutto il mondo è scoppiato soltanto da qualche anno. Il mondo dello sport è giustamente inondato dal desiderio di uguaglianza delle donne, che spesso e volentieri dimostrano di essere alla pari se non migliori degli uomini. Il Wrestling non è da meno e la World Wrestling Entertainment, con grandi proclami e annunci, e le sue concorrenti più piccole, un po’ più in sordina, hanno dato il via a quella che è ormai universalmente conosciuta come la Women’s Revolution.
Nel 2002 però, in un paese molto più povero, sottosviluppato e meno conosciuto degli States, la Bolivia, un gruppo di donne cominciò a lottare per la propria vita, per i propri diritti e per la propria identità. Cominciò in un centro fuori dalla capitale La Paz, un centro che si chiama El Alto. Viste dall’esterno non sembravano che stupidi stereotipi per far divertire i turisti, ma quando si entra dentro le ragioni e gli sforzi che le spingono a salire su un Ring di Wrestling, allora si capisce che la differenza fra loro e le affascinanti dee del quadrato a stelle e strisce, non è poi cosi tanta.
Si chiamano Cholitas o Fighting Cholitas. Sono coloro che nel lontano 2002, quando ancora la WWE e il resto del mondo Wrestling (quasi tutto) metteva in video soltanto ragazze in bikini e sexi bambole, davano vita a un movimento che non può che meritarsi tutto il nostro rispetto.
Las Cholitas non sono avvenenti, belle, sexi o atletiche. Las Cholitas non vengono dal fitness, dal mondo della moda e non hanno partecipato alle olimpiadi. Las Cholitas sono ribelli. Lo sono contro i loro mariti, che più che compagni di vita sono padroni con le mani lunghe. Lo sono contro una società maschilista, che non le rispetta come dovrebbe. Lo sono, poi, contro coloro che le ritengono inferiori perché non sono bianche, non vengono dal vecchio continente. Perché sono indigene, andine.
Las Cholitas hanno le stesse difficoltà del resto dei Professional Wrestler, stessi dolori, allenamenti, infortuni, fortune e sventure. Ma salgono su un quadrato gratis, o quasi. Sono pesanti, non tanto attraenti, e sono vestite con un lungo vestito fatto di volanti colorati, il vestito classico de Las Cholas, le donne che durante la dominazione spagnola facevano parte della razza del posto, inferiore, schiavizzata.
Le combattenti andine decidono di salire sul quadrato per difendersi dal mondo. Lo fanno per cominciare una rivolta silenziosa ma costante. Grazie a qualche Promoter intraprendente, che si rende conto quanto queste signore possano far parlare di loro, diventano un fenomeno. Salgono sul Ring contro altre donne, fra di loro, contro gli uomini. Non hanno paura di niente e rivendicano il loro diritto alla difesa, al poter camminare con la testa alta, senza paura.
Da quando combattono non hanno paura di rispondere ai colpi dei propri mariti. Da quando combattono non hanno paura della discriminazione dei discendenti dei vecchi europei. Da quando combattono, soprattutto, dimostrano che gli uomini non sono gli unici a poter mettere in mostra forza, abilità e carattere. Sono le più vere rappresentanti di una rivoluzione femminile che non ha intenzione di fermarsi. Sono le rappresentanti di un mondo che esiste, anche se se ne parla poco. Sono, in definitiva, importanti quanto le campionesse del mondo di calcio, Ronda Rousey, Hillary Clinton o Giovanna D’Arco. Come tutte loro, anche Las Cholitas, combattono, nel loro ambiente e nel loro mondo. Senza paure, ormai, senza limiti. Lo fanno su un Ring di Wrestling, quindi noi, o almeno io, non potevo far si che passassero inosservate. Non potevo far si che passasse inosservata la Cholitas’ Revolution.