Arene che si stanno spopolando, interesse sul prodotto che cala, il debutto di Adam Copeland che non sta spostando come ci si sarebbe aspettati. La sensazione che ho è che da un po’ di tempo la All Elite Wrestling faccia fatica a funzionare, a trovare i giusti binari per tenersi in equilibrio come è capitato in passato. Chiaro: dopo quattro anni è difficile mantenersi costanti. Ma ci sono dei fattori, dei motivi che concorrono a rendere più complessa la situazione di Tony Khan. Li elenco qui sotto in ordine sparso. Chiedo a voi lettori la bontà di aggiungerne o di spiegare il vostro disaccordo coi vari punti. Buona lettura.

Motivo 1: non ha rivoluzionato il wrestling

All’inizio è sempre facile vedere una realtà come un eldorado. In particolare se in ballo ci sono tanti soldi, tante belle prospettive, l’accesso a wrestler di grande livello. E in più se proponi di rivoluzionare il wrestling, riprendendo il passato per costruire qualcosa di nuovo. Il problema è che in questi anni la rivoluzione non è avvenuta. La AEW ha sicuramente migliorato le condizioni del business, ha indotto la WWE a svegliarsi dal torpore, spinto tanti wrestler a valutare tante possibilità. Ma nel momento in cui avrebbe potuto operare la svolta, si è trovata a fare i conti con una realtà ben diversa, che superata la pandemia ha cambiato anche il paradigma della percezione sul prodotto. Nel tentativo di diventare mainstream, la AEW si è trovata a difendere ciò che aveva costruito, come se si fosse resa cosciente che ci fosse un limite (per ora) invalicabile.

Motivo 2: saturazione dei territori

Le arene si stanno spopolando. Passare da una media di 8k a 2k per gli show settimanali e da 15k a 8k per i ppv non è un bel vedere. Attenzione: non sono numeri malvagi. La WWE non fa molto di più. Però è un sintomo di come la AEW si sia adagiata su ciò che conosce, come già fece la Ring Of Honor dei bei tempi. Le tappe sono sempre le stesse ogni anno, spesso vengono battute anche 3/4 volte (vedi Chicago), e gli spettatori sono sempre meno. Peraltro, rispetto ai primi tempi, la compagnia sta lavorando meno sul lato pubblicitario, contando su uno zoccolo duro di fan. Questa decisione spinge evidentemente i fan stessi a voler scegliere quando partecipare, a seconda che lo show sia interessante o meno.

Motivo 3: non è più cool

La AEW degli inizi era cool. Scontato, vero. Era la novità. Ma era anche abbastanza vergine. Poteva proporre cose nuove, aveva un comparto video da fare invidia, i migliori match e alcuni tra gli atleti più fighi. Oggi la situazione si è evoluta, è diversa. Ciò che viene proposto non ha più nulla di così cool, alcuni atleti sono impelagati in scelte di booking conservative, i match che potevano scatenare aspettative si sono sgonfiati. In più, motivo da non escludere ma che anzi è rilevante, si è dimostrato che anche in AEW le dinamiche di backstage sono uguali a qualunque altra realtà. E che dopo i litigi, la dirigenza non è stata in grado di risolvere i problemi, ma li ha solo spazzati sotto il tappeto. Quanto è accaduto con CM Punk (ma non solo) ha fatto emergere una azienda disordinata, per certi versi disastrata. Così, sia l’opinione pubblica che quella giornalistica hanno dipinto la AEW come niente di diverso da WWE, WCW, ECW e tanto altro.

Motivo 4: le superstar… non vengono utilizzate per quello che sono

Non è un motivo da poco e si lega al motivo 5 di cui parlerò tra poco. Cosa intendo? La AEW ha avuto per molto tempo come modello la NJPW. Ovvero la concezione che le superstar dovessero stare nelle posizioni migliori e garantire così il massimo dello spettacolo e degli ascolti. Nel tempo, con la fissa di lavorare sui passaggi d’ascolto, ha ridotto l’effettivo appeal di alcune sue star. Rendendole per certi versi persino innocui. Colpa della troppa qualità? Magari sì. Ma i mugugni sull’utilizzo di Jay White, Kenny Omega, Adam Page e tanti altri si leggono e si sentono da tempo. Senza contare gli atleti che compaiono e scompaiono, coloro che vanno over e non vengono sfruttati per quello che possono dare. Persino i bei match sono calati di mese in mese, di anno in anno. Ed è particolare vista quanta qualità garantisce quel roster.

Motivo 5: pochezza creativa

Questo punto, come gli altri, si basa su un punto di vista personale. Gli show AEW sono passati da un cumulo di attese ripetute, di climax crescente, ad un pallone sgonfio in cui le storyline sono le prime a non ingranare. Il fatto che narrativamente l’unica storyline degna di questo nome sia stata l’alleanza tra MJF e Adam Cole denota la difficoltà del booking team di delineare delle linee guida in grado di far crescere sia gli spettacoli che i wrestler stessi. Manca una attenzione maggiore ai dettagli. Ancora oggi ci sono troppe sperimentazioni e una continua ricerca del colpo di scena che manda in caciara le storie. Le stable non sono sfruttate e alcuni wrestler ne hanno cambiate così tante da rendere i parlamentari italiani dei novellini. La categoria femminile è inesistente e tenuta solo perché sì. Persino i debutti non fanno più notizia da quanto sono telefonati e gestiti con sufficienza. E che dire dei Pillars? A parte MJF, gli altri girano come trottole e spesso si perdono nel mare magnum del roster.

Dunque…

Con questo articolo ho cercato di fare una analisi (in breve) del perché la AEW fatichi a funzionare per davvero. Non si significa che è tutto brutto, tutto fa schifo. Molte cose vanno bene in ciascuno dei motivi sopraelencati. Ma all’alba del rinnovo contrattuale con Warner, alla AEW pare serva una scossa importante. Non dico un reset (anche se non mi dispiacerebbe), ma sicuramente un cambio di marcia importante per non veder eroso il consenso ottenuto in questi quattro anni. Con la paura di dare ragione a chi, sin dal giorno 1, la bollava come una TNA 2.0.

In che modo arrivarci? Intanto, con l’arrivo dei ppv mensili, ritrovare delle caratteristiche uniche. Avere lungo ogni mese un motivo ben preciso per cui il pubblico possa seguire e affezionarsi. Un po’ come capita con la WWE quando propone i big 4 o qualche ppv a tema. Match a stipulazione speciale, ppv con un tema ben preciso. Ripercorrendo l’idea di base che la WCW intendeva strutturare nel 2001 e che produsse tre ppv molto ben fatti.

Poi. Aprirsi a nuovi territori e nuove città. All In a Londra ha dimostrato che si può tentare di raggiungere nuovo pubblico e nuove opzioni di business. Quindi una gestione più oculata del backstage. Tema che è già stato avviato avvicinando Bryan Danielson a Tony Khan, e che nel lungo periodo potrà dare i risultati sperati. Probabilmente ciò non riporterà la AEW ad essere cool, ma molto probabilmente garantirà una certa solidità mediatica.

Infine mi auguro che l’arrivo dei ppv mensili riporti verve sul lato creativo. Nuove storie, un focus più centrato sui singoli atleti, un lavoro certosino sulla categoria femminile, il lancio di sicuri dream match, colpi di scena coerenti con storie e atleti. Insomma, si può fare davvero tanto e le possibilità e le persone deputate ci sono. Se vorranno, potranno tornare a raccontare grandi cose in vista di una nuova stagione, altri 5 anni, in cui tutto cambierà.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.