Quando Jon Moxley lasciò la WWE nel 2019, rese noto di non essere contento del processo creativo della compagnia. Una dei problemi più importanti per il wrestler erano i promo sceneggiati, motivo per cui un promo di Moxley in AEW è significativamente diverso da qualsiasi cosa facesse nel ruolo di Dean Ambrose al microfono nella fase post-Shield. Durante l’ultima puntata del podcast Oral Sessions, Moxley ha spiegato il suo disprezzo per il metodo utilizzato dalla WWE.

Indicazioni superflue

Moxley ha detto: “Per quanto riguarda il cosa metterci o no, è un po’ come un incontro di wrestling o un promo. È per questo che i promo della WWE fanno pena, ci ficcano 5000 c**zo di parole inutili. Di’ quello che vuoi dire, dillo con convinzione, fatti capire. ‘Sabato ti farò il culo perché mi stai sulle palle’. Boom, fatto. E a volte in un match avevi tutti questi punti programmati, ma alla fine, qual è la storia? Qual è il punto? Tu sei il buono, io il cattivo, tu sei grosso, sei piccolo, sei alto, sei basso — qualunque sia il contrasto stilistico o la storia che stiamo raccontando, perché abbiamo tutto questo? A volte lo vedi e pensi ‘non ci serve tutta questa m**da di troppo’”.

La risposta di Paul Heyman

Una persona che ha difeso l’idea di scrivere i promo è Paul Heyman, intervistato recentemente durante una puntata di Sports Media Podcast: “Non c’è una risposta giusta. Vince McMahon è proprietario di un colosso dell’intrattenimento che ha sul tavolo tre affari da miliardi di dollari, e sono sicuro che sta lavorando per crearne altri. […] Quando hai in ballo certi affari, devi evitare che qualcuno te li rovini. Quindi se tizio o caio sale sul ring in televisione e dice qualcosa di orribile, e viene trasmesso, magari scatena uno scandalo per cui, a ragione, la WWE viene buttata fuori da Fox o NBCU o Peacock. In quel caso la colpa cadrebbe su Vince McMahon, per non aver detto ‘voglio sapere in anticipo cosa dirà questa persona’”.