A mio avviso e non sono l’unico, la WWE ha offerto nella prima metà del 2020 un prodotto insufficiente, che ha seguito il trend degli anni precedenti e che addirittura è andato ad intaccare lo status di NXT.
Un impero come la WWE che sta riducendo il suo impatto nella cultura popolare mondiale in maniera preoccupante negli ultimi anni, superata da altre forme di intrattenimento. Seguire una serie popolare Netflix crea dibattito in rete e incuriosisce chi non l’ha ancora vista, il wrestling oggi è autoreferenziale: nasce e muore in seno agli appassionati. 


La parcellizzazione dell’intrattenimento divide i nostri risparmi e il nostro tempo in maniera impegnativa. Penso al tempo libero che mi ritaglio per farci stare alla bell’e meglio wrestling, sport, fumetti, videogiochi e film/serie tv e come me milioni di persone nel mondo.
Arriverà, presto o tardi per tutti, un momento in cui a qualcosa si dovrà rinunciare ed è evidente che il numero di persone del mondo che hanno rinunciato al wrestling (leggasi WWE) dall’inizio dell’anno ad oggi è alto, altissimo.


Una cosa che ho sempre pensato, spesso sbagliando lo ammetto, che in molte fasi storiche Vince McMahon abbia avuto l’idea che il marchio WWE fosse invincibile, insuperabile e che la gente lo seguisse in quanto tale e non per i lottatori che erano sotto contratto in quel momento. Perde Hulk Hogan e Bret e Shawn lo sostituiscono e così via fino a giorni nostri.
Una supponenza che in molti casi gli ha dato ragione in maniera schiacciante, ma da Roman Reigns in sostituzione di John Cena si è iniziato a incrinare qualcosa.
La Social Media Era ha schiacciato il vecchio sistema e la supponenza del “noi siamo la WWE e ci seguirete comunque” non funziona più. 
Ripenso ad una vecchissima intervista di Dan Peterson che ha sdoganato il wrestling in Italia per la mia generazione, in cui diceva come il wrestling abbia avuto successo televisivo negli USA negli anni Settanta per la semplicità della sua trasmissione. Un paio di telecamere, l’azione tutta concentrata nel ring e un programma in cui si potevano inserire spazi pubblicitari. In questo scenario Vince McMahon è cresciuto e si è fatto portabandiera di tutta la disciplina nel mondo.


Poi gli anni Novanta hanno alzato l’asticella: più telecamere, più azione fuori ring, più pubblicità. Un sistema insostenibile che ha portato a far sparire ECW e WCW. Dopo di che tutto è diventato di plastica e lucido. Di “raw” a Raw oggi rimane solo il nome.
In questi ultimi venti anni ci siamo spesso chiesti se qualcuno avesse la forza di sorpassare la WWE in termini di popolarità mondiale, ipotizzando fantasiosi investitori capaci di drenare tutto il mercato e i fan fidelizzati in decenni.
Il settore entertainment negli USA in questi mesi di Covid ha avuto un vuoto senza precedenti con lo sport bloccato e altre limitazioni che sulla carta aprivano la strada al wrestling in tv come l’occasione per crescere come mai prima negli ultimi anni e invece no.


Questa volta Vince si è fregato da solo, imponendo(ci) il mantra “noi siamo la WWE e ci seguirete comunque”, smettendo di costruire le faide, i campioni e i number one contender, figli di un lavoro lungo dieci anni che ha inaridito le riserve di star-power del roster. Chiedendo l’impossibile a gente come Drew McIntyre confinato al low card fino a dodici mesi prima, chiedendo a noi di considerare credibile Dolph Ziggler che nel 2020 aveva vinto un solo match singolo. Un problema strutturale dunque che sarebbe ingiusto mettere sulle spalle di uno o più lottatori.


“Noi siamo la WWE e ci seguirete comunque…per favore”