Col tempo i ppv a tema perdono la loro aura di specificità. I match che li caratterizzano o diventano noiosi o mancano il sale della loro innovazione, deludendo quasi sempre le aspettative. Il Royal Rumble Match è una di quelle stipulazioni che ogni fan attende trepidante ogni anno, senza porsi alcun dubbio. Ma visti i risultati di sabato scorso, qualche dubbio sorge e pure bello grosso.

Il Royal Rumble match femminile

È difficile face en plein, ma anche quest’anno il match femminile è stato brutto (5 su 5). Manca da sempre la capacità di saper bookare questo incontro con le donne protagoniste. A questo giro è mancato proprio il senso dello storytelling: a parte la disputa Deville-Naomi, non si è sviluppato nulla tra chi era già in faida e tra chi poteva iniziare qualcosa di nuovo. Il finale poi è stato troppo veloce, raffazzonato, terribilmente anticlimatico.

Ma ci sono altri tre aspetti importanti da tenere in conto.

Il primo è che non basta avere tante (o poche donne), ma le devi anche avere di qualità. Le chiamate speciali non hanno aggiunto nulla allo spettacolo, anzi hanno tolto qualcosa e (per fortuna) durate poco. Sintomatico poi che nel mezzo ci fosse Charlotte, che mai e poi mai sarebbe dovuta essere coinvolta nel match e che è andata a colmare, in piccolo, un vuoto enorme.

Il secondo è che la vittoria di Ronda Rousey è una sconfitta per la WWE. Un po’ perché, status a parte derivato dal suo passato in UFC, la ragazza non ha le capacità sia attoriali che atletiche per essere premiata da un successo del genere. Un po’ perché la sua inevitabilità mette in luce lo scarso lavoro fatto dalla compagnia in questi mesi per consegnare al match delle papabili vincitrici. I fan accolgono Ronda perché non hanno alternative.

La terza si lega alla seconda. Ovvero la WWE non riesce (o non vuole) scostarsi dai soliti 4/5 nomi. Aveva fatto benissimo lo scorso anno a lanciare Bianca, poteva fare altrettanto quest’anno con Rhea Ripley o persino Sonya Deville, giocando sui corsi e ricorsi storici del loro stint (Rhea venne eliminata per ultima lo scorso anno). Si cautela con la Rousey ma non risolve il problema che tornerà nei prossimi mesi.

Il Royal Rumble match maschile

In questo caso non andiamo molto lontani da quanto accaduto con le donne. Il match è durato 51 minuti, per 45 minuti non è successo nulla. E non poteva: fino al numero 20 c’è stato l’arrivo di una sfilza interminabile di midcarder abbastanza improbabile per la vittoria finale. E in seguito il match ha continuato a non dire nulla neppure con l’ingresso dei “calibri”, fino alle eliminazioni piuttosto attese di Lesnar.

La scontatezza ha fatto capolino dall’inizio. Un po’ per la mancanza di possibili vincitori al di fuori di Brock, un po’ per alcune scelte decisamente particolari. Ad esempio gli ingressi in posizione favorevole di Bad Bunny e Shane McMahon. Poi le eliminazioni in sequenza di Sheamus (da Bunny), Rey Mysterio (da Otis), Kevin Owens (da Shane) e Orton (prima vittima di Lesnar). Rimasto McIntyre, non c’era molto da sperare.

Anche in questo caso si nota l’incapacità della WWE di rendere interessante il match, di dare spazio a qualche “contatto” in grado di svegliare il pubblico, e di lanciare nuovi volti. Non sono nate sfide e non sono nate nuove stelle. Sarebbe stata l’occasione per Riddle, Holland o per la conferma di posizione per Big E e Priest. Nulla di tutto ciò, anzi questi sono passati senza farsi ricordare.

Ha ancora senso il Royal Rumble match?

La storia dice di sì. Il presente dice che la WWE deve ripensare il match, il suo obiettivo e la crescita dei suoi wrestler. L’attesa ci sarà sempre, ma se i risultati sono quelli visti quest’anno (e in altri anni), allora la delusione si sommerà. Deve diventare il match utile per lanciare nuove stelle o grossi match, magari mai visti. Se il risultato deve veder festeggiare vecchi nomi (Lesnar, Edge, Orton) o superstar affermate (Rollins, McIntyre, Reigns, Cena) allora a poco servirà. A meno di non trovare qualcuno che faccia di questo incontro una propria caratteristica, come avvenne con Steve Austin, Shawn Michaels e Triple H.

Per le ragazze c’è poco da fare. Il numero previsto dal match eccede di gran lunga quelle che realmente sarebbero adatte a competervi. E serve un booker che sappia scrivere qualcosa per loro senza costringerle a faticare sul ring.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.