Vi siete mai chiesti perché, oggi, il Wrestling è meno “affascinante” di quello che guardavate da piccoli? E perché i lottatori di oggi siano meno “ispiranti” per voi di quelli che ammiravate da bambini? La spiegazione, tranquilli, è di carattere psicologico; Ciò che viviamo da piccoli tende ad imprimersi con più facilità e più profondità nella nostra mente (soprattutto se sono esperienze positive). Il Wrestling, col suo universo di personalità istrioniche, colorate e ampollose, non fa alcuna differenza. Non è un caso che nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 50 anni, per i fan della disciplina il periodo più florido è l’era “Attitude”. Calcoli alla mano, la maggior parte di questi all’epoca aveva dai 10 ai 30 anni. Ca va sans dire…

Ritengo che, insieme a noi, anche la disciplina sia cresciuta. Sia maturata. E questo è sotto gli occhi di tutti. Ci sono più limitazioni alla narrativa, che spesso deve tener conto dei princìpi morali della società odierna, cambiati drasticamente nel corso dell’ultimo ventennio. Molti campi della società di oggi sono diventati “intangibili”, omosessualità e differenze etniche su tutti. C’è una maggior attenzione alla “diversità” che viene strettamente tutelata. Anche la violenza fisica è aborrita con più ardore, e il Wrestling ne ha fatto un vessillo d’onore, bandendo il sangue e la crudeltà di alcuni suoi match dalla tv. Insomma, il Wrestling di oggi è diverso nel senso che è più limitato nella sua espressione. Anche se, in verità, alcuni “covi” resistono ancora.

C’è la CZW che ha fatto dei match violenti il suo emblema. Ci sono alcune federazioni minori che ancora pescano dal politicamente scorretto per la loro narrativa. Ma, nonostante questi “partigiani” della libertà d’espressione, le Major statunitensi (e non solo) hanno cambiato drasticamente il loro prodotto. Ma ciò significa che oggi il Wrestling è meno “affascinante”? Non direi. Fermo restando che il “romanticismo” dei nostri eroi di Gioventù sarà difficilmente replicabile, complice la nostra più ampia conoscenza di ciò che c’è dietro le quinte, la disciplina in sé con il suo lottato sul ring e la storia che viene costruita attorno può ancora scaldare i nostri cuori.

E lo fa sopratutto quando, mantenendo ferma la traiettoria, continuando a scansare le migliaia di “falle” ordite dai benpensanti e dal qualunquismo, il Wrestling attinge dal “reale” per il suo racconto. La storia della Bloodline, come anche il personaggio portato sulle scene da MJF (che mantiene la sua aura anche fuori dal ring), ne sono un valido esempio, dimostrando che se si riesce ad essere realistici nel racconto, evitando gli eccessi gratuiti e le narrazioni illogiche, il prodotto risulta interessante. E quanto più si mantiene il “segreto” sui retroscena di questo Mondo, tanto più si proibisce alla ragione di scoprire i meccanismi interni che ne regolano l’operato, e tanto maggiore risulterà il margine di stupore che il lavoro “finito” può suscitare negli animi dello spettatore.

Quest’ultima disamina deve essere applicata anche al lottato sul ring. Un incontro, per risultare accattivante, deve consistere in una “danza” priva di sbavature, trasmettendo fedelmente al contempo le sensazioni dei partecipanti, e le loro “tribolazioni” durante lo scontro. A questo passaggio io sono stato, in qualità di fan, sempre molto legato. Ho sempre preferito le contese in cui gli atleti “staccavano” i piedi da terra il meno possibile, ciò perché le loro sfide parevano più realistiche. Due wrestler che saltellano da un lato all’altro del ring di continuo mi paiono più acrobati circensi che lottatori intenti ad una rissa. E il Wrestling di oggi sembra aver preso questa brutta piega, a cui si aggiunge una immotivata quanto forsennata ricerca del sensazionalismo che ne rovina la credibilità. In definitiva il Wrestling di oggi è cambiato, e non del tutto in negativo. Ma forse è naturale che sia così. Forse come è cambiato lui dovremmo cambiare anche noi, rivalutando i nostri parametri di giudizio. Ogni epoca, per essere apprezzata al meglio, deve avere il giusto tribunale a giudicarla. Con i “giusti” Giudici.