Ci sono momenti nella vita in cui non hai voglia. Non hai voglia di mangiare, bere, fare l’amore, ricordare. Semplicemente. Quando passa il tempo, poi, certe cose ti ritornano alla mente senza volerlo, lo fanno per forza, senza chiedere il permesso. Bussano come un elefante, invadono lo spazio, spaccano le pareti. Inerme, di fronte alla tortura mentale, i pensieri si accumulano, spingono anch’essi, irresistibili, e allora sei costretto ad aprire la bocca ed ogni orifizio possibile, per sputare fuori tutto, parole, saliva e bile.

Mentre il mondo corre, e lo fa da quando sono nato, in un vortice che quelli post sbronza sono scherzi di buon gusto, il mondo del Wrestling lo fa con esso. Una corsa senza fiato che può permettersi di prendere il respiro soltanto in certi, tristi, momenti. Momenti che ho descritto, purtroppo, decine di volte su queste pagine. Anche in questo momento le parole mi si sovrappongono nella testa e faccio una fatica tremenda a cercare di dare un valore a ciò che dico, perché quando le cose sono sempre le stesse, e fanno sempre lo stesso schifo, rischiano di non avere più significato.

Uno di questi momenti nei quali il Wrestling ha potuto prendere un respiro, lo sapete tutti bene, è stato lo scorso 24 agosto, perché lo scorso 24 agosto le tenebre che tanto aveva cercato di dominare in vita, si sono mangiate Bray Wyatt, e con lui, si sono mangiate Windham Lawrence Rotunda.

Non starò li a ricordare che il fatto che lo abbia criticato in vita per le sue qualità sul Ring non abbia significato di fronte alla sua scomparsa, è scontato che sia cosi. Non starò nemmeno qui a parlare di quanto buono fosse in vita, o di quanto amato dai suoi colleghi sia stato. Starò invece qui a rendermi conto di quanto pericoloso può essere vivere. E di quanto, giorno dopo giorno, lo diventi sempre di più.

Si perché più di 10 anni fa, quando scrivevo di Umaga, avevo 25 anni. Le persone che perdevano la vita, vittime dei loro vizi, del loro lavoro e dei loro incubi, erano “grandi”, con un fisico ed una mente consumate dai loro eccessi. Erano uomini. Adesso però, accompagnato e accompagnante, da e con il Professional Wrsetling, capisco che la morte, in qualunque forma venga, non guarda in faccia niente e nessuno. Bray Wyatt, centro nevralgico di centinaia di discussioni, aveva 36 anni. 3 meno di me.

Lascia su questa terra i suoi figli, Bray Wyatt. Lascia il suo sangue, che è anche lo stesso di quello che scorre nelle vene di suo padre, uno che nel corso degli anni ha visto morire al suo fianco decine di colleghi e amici, di Character e campioni. Anche lui, come me, ma moltiplicato all’ennesima potenza, si ritrova impotente di fronte alla cattiveria della vita e alla inevitabilità della morte.

Sarebbe spaventosamente bello se Bray, adesso, tornasse nei nostri sogni, con quella maschera, quella musica e qui suoi amici diabolici. Sarebbe spaventosamente bello, e sono sicuro che ognuno di voi, rinuncerebbe ad una notte tranquilla per poterlo vedere un’ultima volta e poter sentire ancora la sua risata infernale. Ancora, almeno, una volta. Anche solo, pochissimi istanti, per fermare il nostro ed il suo il tempo.

Direttore di Zona Wrestling. Appassionato di vecchia data, una vita a rincorrere il Pro Wrestling, dal lontano 1990. Studioso della disciplina e della sua storia. Scrive su Zona Wrestling dal 2009, con articoli di ogni genere, storia, Preview, Review, Radio Show, attualità e all'occasione Report e News, dei quali ha fatto incetta nei primi anni su queste pagine. Segue da molti anni Major ed Indy americane e non.