La frase esce di bocca ad Excalibur. E’ preparata, certo. PerĂ² rappresenta un po’ il sentore di tutti coloro che sono presenti alla Now Arena e che guardano da casa il finale di All Out: what a time to be alive. Che bello vivere momenti come questi, che rimarranno a loro modo iconici nella storia non solo della All Elite Wrestling ma del wrestling business per intero. E arriva a conclusione, come una ciliegina sulla torta, di un ppv che segna un netto salto in avanti rispetto al passato.

Da Revolution ad All Out

Abbiamo ancora nella mente il finale di Revolution. Il ppv fu buono, con un main event ben fatto nell’exploding barbed wire. Poi perĂ² la gente ricorda come finisce un evento. Ricorda Eddie Kingston che corre verso il ring a salvare Moxley, le esplosioni che non esplodono, i miniciccioli, le risate, il silenzio. Mox e Eddie che fan finta di essere svenuti. Il senso di smarrimento e di impreparazione, di figuraccia e di passo indietro.

Da quel giorno è sembrato quasi che la All Elite volesse lavare l’onta. Legittimo, vista la considerazione calata di botto dopo due finali decisamente anticlimatici (aggiungiamoci quello di Winter is Coming). Hanno lavorato e lavorato per limare i dettagli. In soldoni: senza gli anni di esperienza della WWE, poco puoi fare. Ma puoi in qualche modo cercare di essere creativo e iconico. Non senza errori: MJF sulla gabbia al Blood & Guts è iconico, Jericho sui materassoni un po’ ridicolo.

La AEW ha capito la lezione

Sai quando ti accorgi, in certi momenti della vita, che tutto va come deve andare? Ecco, questo è il post main event di All Out, scritto in maniera coerente ed elegante, capace di mandare il pubblico a casa felice di quello che ha appena vissuto. PerchĂ© questo è l’unico obiettivo possibile e Vince McMahon ce lo ha insegnato per anni come un buon padre. Segno che la AEW per una sera ha compreso bene la lezione e l’ha messa in pratica magistralmente.

Non era semplice. Anche perchĂ© in questo ppv avevi giĂ  avuto: il debutto di Minoru Suzuki, il debutto e la vittoria di Ruby Soho, il primo match dopo 7 anni di CM Punk, un super Steel Cage match e un main event lodevole. PerĂ² tutti si aspettavano quei debutti lì. E anche quando entra Adam Cole hai capito che è finita, basta questo, basta un “Adam Cole Bay Bay” urlato a squarciagola dal pubblico.

Adam Cole e Bryan Danielson: che finale!

Non bastava tutto quello che c’era stato prima. Ci aggiungono anche uno shock, legittimo anche se in parte incoerente. Chi sa la storia del Bullet Club, sa che Adam Cole è stato estromesso dal gruppo. Ma Marty non c’è piĂ¹, non esiste la possibilitĂ  WWE e dopo quattro anni certi sgarbi si perdonano. Lo dimostra anche il pubblico che prima riempie di boooo l’ex campione NXT quando superkicka Jungle Boy e poi esplode quando lo vede abbracciare gli Young Bucks. Non la cosa piĂ¹ sensata, ma funzionale al fan service.

Per rendere piĂ¹ iconico quel finale, la scena non bastava. Appariva come l’ennesimo takeover stile NWO che abbiamo visto mille volte. Il pubblico avrebbe pensato: tutto bello, sì, ma il massimo ppv dell’anno si chiude con un… turn heel? Nah, inconcepibile. Avrebbe reso bene, ma non avrebbe reso sul lungo termine. PerchĂ© per quanto gli si voglia bene, Cole non è un nome abbastanza grosso, al momento, per lasciare una traccia indelebile. E’ forte sì, ma non abbastanza. Dopo tutto famoso era in ROH e famoso è rimasto a NXT. Non ha spostato di una virgola il suo status. Non è diventato piĂ¹ grande.

E’ piuttosto grande Bryan Danielson. Che il pubblico aspettava, bramava. Lo ha chiamato: “Yes! Yes! Yes!”. E’ uscito al momento giusto, per fare la cosa giusta: chiudere col sorriso e il cuore gonfio di emozioni il ppv. Sarebbe bastato anche solo un faccia a faccia con Omega e il saluto al pubblico, ma avrebbe avuto la sensazione di giĂ  visto (Reigns-Lesnar). E allora piazza pulita della Elite assieme ai face rimasti sul ring, serie di roundhouse kick e gran finale con la running knee. Il pubblico esulta, Excalibur grida what a time to be alive e tutti sono andati a letto felici e contenti. E’ così che si chiude uno show.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.