Shoot.

Shoot è una parola che nel mondo del Pro Wrestling assume un significato elettrizzante. Quando c’è uno Shoot, ovvero quell’uscita dalla finzione, dalla famigerata Kayfabe, che porta un professionista, o entrambi, ad agire d’istinto, a violare volontariamente lo Script, chi sta a guardare è pronto a qualsiasi cosa. E’ pronto a sapere verità nascoste, a capire dove e quando qualcosa è andato male. Oppure si prepara a vedere il sangue. Già. Il sangue. Perché in uno sport da combattimento prefatto, impostato e stabilito, se i colpi arrivano con l’affondo, il sangue e praticamente certo.

Ci sono stati molti Shoot nella storia del Wrestling. Dai discorsi rivelatori agli schienamenti forzati. Dai colpetti per aggiustare una situazione agli schiaffoni regolatori. Ma quelli più intensi ed espliciti, hanno sempre portato a qualcosa di brutto, a infortuni, licenziamenti e in certi casi a carriere stroncate.

Quando ciò di cui sto per parlarvi successe, la nostra disciplina stava attraversando un momento di cambiamenti. Erano ormai passati quattro anni dalla famosa Invasion, da quell’avvento in massa di lottatori WCW ed ECW che aveva rivoluzionato il mondo della WWF, portando in poco tempo alla divisione dei Roster. Quattro anni nei quali la situazione si era ormai appiattita. Per nostra fortuna, da una parte la Total Nonstop Action cominciava a far parlare di se stessa, dall’altra, la World Wrestling Entertainment, aveva finalmente deciso di ascoltare i fan e riportare in vita, almeno per una notte, la Extreme Championship Wrestling.

L’organizzazione dell’evento fu quasi completamente affidata a Paul Heyman, padre fondatore di quella ECW targata “Extreme”. Qualcosa però era stata aggiunta, cosi che, per non lasciare niente al caso, i signori importanti della WWE potessero prendersi il merito della riuscita o scaricare le colpe del fallimento. Sugli spalti del Manhattan Center, quella che era stata una delle case più importanti della compagnia di Philadelphia, vennero messi due gruppi di lottatori avversi alla corrente Hardcore: uno da Smackdown e l’altro da Raw. Il loro capitano era Eric Bischoff.

La serata fu fantastica. I fan dell’estremo poterono godersi quelle emozioni che ormai gli mancavano da un sacco di tempo e alcuni dei Match classici furono riproposti con risultati ottimi. Da Chris Jericho a Eddie Guerrero, dai Dudley Boys a The Sandman, ognuno ebbe la sua meritata fetta di torta, e chi non poté averla, come Rob Van Dam, si sfogò comunque con un microfono in mano per lunghissimi minuti, nei quali sputò fuori tutto ciò che pensava della WWE, della ECW e della sua carriera.

Quando le luci stavano per spegnersi, però, il Booking targato “WWE” scese in campo. Eric Bischoff “saltò” le balaustre e insieme ai suoi uomini, finì sul quadrato dopo aver accettato la sfida dei signori dell’estremo, capitanati in quel momento da Stone Cold Steve Austin, uno che alla ECW e a Paul Heyman doveva l’esplosione del suo carisma.

Era chiaro ciò che stava per succedere. Era chiaro che, con tutte quelle teste calde sul quadrato, sarebbe scoppiata una rissa dalla quale la ECW sarebbe uscita vincitrice ed Eric Bischoff sarebbe stato vessato a più riprese. Ciò che non era molto chiaro, però, era che in quei pochi secondi, mentre Kurt Angle veniva sbattuto fuori dal quadrato e le polveri si alzavano fra le urla dei fan in visibilio, qualche pugno stava arrivando a segno, con quell’affondo che lo trasformava da Kayfabe a Shoot.

Non si può vedere bene, ma si può notare l’attitudine. Quando scoppia la rissa il cappellone di John Bradshow Layfield, ormai da qualche mese non più campione WWE, va a ritagliarsi uno spazio al margine, spinge le corde e cerca di arrivare al suo vero ed unico obbiettivo: The Blue Meanie. Ciò che ne uscì fuori fu una vera e propria rissa, nella quale JBL colpì più e più volte il membro del Blue World Order, aprendo ferite e lacerando la pelle del suo viso. Uno Shoot in piena regola, che vista la baraonda generale fu chiaro soltanto molte ore dopo.

La cosa fece parlare tantissimo e soprattutto proseguì, perché i membri del BWO, oltre a The Blue Meanie, Big Steve Cool e Hollywood Nova, in realtà già sotto contratto con la WWE da tempo con le identità di Steven Richards e Simone Dean, furono portati in scena a Smackdown. Dopo le voci della rissa la WWE cavalcò l’onda e The Blue Meanie affrontò JBL durante lo Show blu. Richards intervenne e colpì con una sedia JBL, una sedia che risuonò forte in tutta l’Arena. Si dice, e probabilmente è vero, che quella fu l’inizio di una vendetta, che però non arriverà mai, perché JBL era troppo importante. Troppo protetto.

Non è ben chiaro per quale motivo Bradshow attaccò con tanta brutalità The Blue Meanie. La vittima, al secolo Brian Heffron, sostiene che JBL non avesse mai avuto nessun tipo di simpatia per lui, probabilmente perché, durante il suo primo Stint nella WWF, non volle sottostare, in alcune circostante, alle provocazioni del membro degli APA, notoriamente un bullo da Backstage, oltre che senatore dello stesso. Dal canto suo JBL, afferma di non avere mai avuto problemi con The Blue Meanie, pur ammettendo di esserci andato un po’ troppo pesante quel giorno di quindici anni fa, quando la ECW tornò in vita “One Night Stand”.

Quella notte fu poi ripetuta l’anno successivo e poi la ECW tornò in vita per davvero. Quello Shoot però, è probabilmente l’ultimo visto nella World Wrestling Entertainment. L’ultimo in una compagnia importante e con regole ferree. Regole che, probabilmente, a quel tempo non venivano applicate su coloro che erano “pezzo grossi”, o “pezzi di m***a”, a seconda del pensiero di ognuno.

Insomma la verità è che gli uomini sono pur sempre animali. Si può essere professionisti, si può essere ricchi, si può avere alle spalle una carriera che sarebbe un peccato capitale rovinare, però quando l’istinto viene fuori, che sia per una giusta causa o perché sei semplicemente uno che avrebbe bisogno di “restare chiuso qualche ora in una stanza con i ragazzi”, il disastro è sempre dietro l’angolo. E’ dietro l’angolo e fa parte del gioco. Chi sale sul Ring lo sa, e perché questo non succeda deve guadagnarsi il rispetto dei propri colleghi fuori dal quadrato, prima di tutto, perché il rispetto è il carburante di un lavoro come il Wrestler, senza il rispetto non c’è fiducia, senza fiducia non c’è il Wrestling.

Direttore di Zona Wrestling. Appassionato di vecchia data, una vita a rincorrere il Pro Wrestling, dal lontano 1990. Studioso della disciplina e della sua storia. Scrive su Zona Wrestling dal 2009, con articoli di ogni genere, storia, Preview, Review, Radio Show, attualità e all'occasione Report e News, dei quali ha fatto incetta nei primi anni su queste pagine. Segue da molti anni Major ed Indy americane e non.