È sostanzialmente croce e delizia del wrestling moderno, anche se spesso dimenticata, ma a guardar bene motivo ultimo del successo o insuccesso degli show. Come nasce una faida oggi? In generale il discorso lo possiamo ampliare a qualsiasi compagnia, ma quest’oggi vorrei orientarmi sull’attuale AEW, con una questione che mi sta particolarmente a cuore.
Necessaria una pleonastica premessa, che parte dall’inizio dei tempi ad oggi: le principali faide nascono per ragioni “sportive” e di dominio. Anche culturalmente e geograficamente ben collocabili come approccio destinato al rispettivo pubblico.


Prendete il Giappone: lì le rivalità nascono durante momenti quali tornei e sfociano, ove necessario, in match uno contro uno senza titolo in maniera sporadica. Il Puroresu viene trattato come un vero e proprio sport, con conferenze stampa reali e le rivalità sono frutto di esiti di tornei, incontri o similari. Un po’ come un campionato di calcio o qualsiasi altro sport.
Prendete gli Stati Uniti: la componente sportiva è più spinta verso il dominio e il possesso della cintura di campione, ma parallelamente, per tradizione, si svolgono rivalità che per ragioni “sceneggiate” possono esistere fuori dalla competizione per una cintura e di tanto in tanto, addirittura superarne il valore.


Tutti concetti chiarissimi per chi mastica wrestling da anni, che fotografano nella teoria ciò che ha fatto appassionare tutti noi alla disciplina; in fin dei conti puoi avere i migliori wrestler del mondo sotto contratto, ma se non li sai gestire e inserire al punto giusto della card, svilisci il prodotto. Esempio lampante è il Raw di tre ore.
Seguendo il wrestling da tanti anni, inizio a vedere certi dettagli prima di altri, quando leggo la card di un ppv, ad esempio, mi chiedo come sono arrivati quei due lottatori ad “odiarsi” e quasi sempre, oltre i match titolati, che hanno implicitamente il desiderio sportivo di primeggiare ed eventualmente qualche acredine creatasi nel percorso, tutto il resto parte per futili cause.

Nel parapiglia delle futili cause, di tanto in tanto qualcosa emerge, ma con una grande difficoltà e paura di sbagliare. 
Moltissime grandi star del passato che si sono poi realizzate come campioni di prima grandezza, passavano abitualmente da gestioni a tappe, ma tutte utili per arrivare alla consacrazione; in questo wrestling attuale pieno di tanta qualità, ma privo di una grande mente creativa, il collo di bottiglia del “sistema” è evidente.
E, vi prego, non è l’ennesimo editoriale di lamentela perché l’Andrade di turno non viene valorizzato come merita e anche la foto di accompagnamento dell’articolo di Adam Page è puramente indicativa, è una critica alla creatività che è stata uccisa sull’altare della tecnica.


L’epoca della grande popolarità del wrestling negli Stati Uniti è coincisa non solo con i grandi performer, ma anche con la presenza di grandi creativi dietro le quinte che hanno riscritto le regole del passato. La grande WWF degli anni Ottanta aveva Pat Patterson e Vince McMahon, gli anni Novanta sono stati gli anni di Russo e Heyman, dunque è lecito chiedersi: perché negli ultimi venti anni l’industria a livello main stream non è riuscita a generare talento in questo settore? Gli unici spiragli sono giunti dalle indy, ma a che prezzo?


Al prezzo che negli ultimi anni non c’è stato nessuno con le palle (in tutti i sensi) a scrivere modalità nuove degli show, ammazzando la curiosità dello spettatore che ormai “ha già visto tutto” e le compagnie a vedersi obbligate a mettersi in casa glorie del passato e sentirsi criticare le costruzioni dei campioni che dovrebbero rappresentare il presente.
Anche una compagnia che ha una radice profonda nelle indy come la AEW fatica a costruirsi artificiosamente i suoi giovani talenti, chi emerge come MJF, lo fa per oggettivi meriti dato che riesce a superare gli script in maniera manifesta, ma tutti gli altri? Siamo sicuri che la scelta di andare in contrapposizione con la WWE investendo soldi in lottatori tecnicamente dotati e vecchie glorie di contorno e con un team creativo “fatto in casa” sia la scelta giusta?


Oppure il wrestling è davvero creativamente morto come diceva qualcuno e non c’è più nessuno in grado di rianimarlo?