La scorsa settimana abbiamo visto come la All Elite Wrestling non sia riuscita a portare a compimento tutte le sue idee di deathmatch con le esplosioni. Non è semplice mettere in scena questo genere di incontri, soprattutto se si portano dietro tutta una serie di fastidi burocratici non da poco. Però col tempo si è creata non solo una fanbase di appassionati ma anche una base di atleti che fanno solo quello. Ed è abbastanza incredibile se ci pensate: chi mai potrebbe voler mettere a rischio il proprio corpo, salute e vita per far divertire gli altri?

Le origini dei deathmatch, o di tutti quei match che vadano oltre il semplice hardcore, non hanno una valenza concreta. Presumibilmente nascono in Porto Rico, dove ancora oggi c’è una forte richiesta di questo genere di wrestling e che ha visto la presenza, negli anni ’80, di quelle che a poco a poco sarebbero diventate delle icone come Atsushi Onita, Terry Funk, Abdullah The Butcher e altri. La parola hardcore era bandita: esistevano soltanto cruenti match per la gioia del pubblico. La stessa gioia che i giapponesi, più o meno negli stessi anni, hanno vissuto quanto Onita decise di esportare quelle origini nella FMW.

Onita spinse tutto più in là. Arrivarono gli esplosivi, i mattoni, il fuoco, il filo spinato, il vetro, il neon. Un genere così di nicchia ma così osannato da attirare l’attenzione di tantissimi altri atleti in grado, negli anni ’90, di aggiungere nuovi stili ed un pizzico di storytelling in più. Sabu, New Jack, Masato Tanaka, Mick Foley, Kintaro Kanemura spostarono la barra dello spettacolo del wrestling nel momento in cui il mainstream proponeva un mix tra scelte radicali e scelte trash. L’intenzione era quella di essere ancora più radicali, influenzando in parte gli eventi della ECW ma non solo.

Quando il wrestling crolla, il panorama intorno reagisce. Agli inizi degli anni 2000 sono soprattutto la IWA Mid-South di Ian Rotten e la CZW a prendersi carico di proseguire la linea dei padrini. Vivranno però vite opposte: la prima è stata troppo sgangherata per esser presa sul serio, è scaduta nella facile macelleria e ha perso ogni appeal nel giro di pochi anni; la seconda invece ha saputo mischiare l’ultraviolent con generi di più larga appetibilità, tanto da ospitare i luchador e le nuove leve del wrestling cruiserweight che in pochi anni andrà a rimpolpare i roster di TNA e WWE.

E oggi? Oggi la CZW ha perso completamente la propria credibilità. Gliel’ha succhiata la GCW, nata proprio come costola della federazione di Philadelphia e divenuta ben presto il punto di riferimento delle indy americane. Ogni due mesi hanno presentato show totalmente ultraviolent, dove il sangue scorre a fiumi e i wrestler quasi si distruggono il corpo. “Facciamo in modo di far uscire il nostro lato animale” ha spiegato di recente Christian Casanova, uno dei più riconosciuti wrestler del genere, “ci divertiamo e ci proteggiamo l’un l’altro. Personalmente troppo molto piacere nel sentire dolore. E’ quasi una condizione salvifica. Vedere il pubblico che si diverte è uno stimolo per me per andare avanti“.

Giornalista professionista ed esperto di comunicazione, dal dicembre del 2006 è redattore di Zona Wrestling. Negli anni è stato autore di rubriche di successo come il Pick The Speak, Wrestling Superstars, The Corey Side, Giro d'Italia tra le fed italiane, Uno sguardo in Italia, Coppa dei Campioni, Indy City Beatdown e tante altre. Il primo giornalista in Italia ad aver parlato diffusamente di TNA ed AEW su un sito italiano di wrestling.